Egitto, il rischio è che finisca come in Algeria

Il pugno di ferro contro i Fratelli musul­mani potrebbe p­ortare le frange più gio­vani ed estremiste alla lotta armata

L'Egitto rischia di sprofondare nella sanguinosa deriva algeri­na degli anni Novanta, quan­do i militari cancellarono la vittoria isla­mica alle elezioni scatenando una pauro­sa guerra civile che è costata 150mila morti.
Il pugno di ferro contro i Fratelli musul­mani potrebbe p­ortare le frange più gio­vani ed estremiste alla lotta armata. Non solo: il massacro di ieri al Cairo ha provo­cato, come una scossa di terremoto, scontri in tutto il Paese, che sono sfociati in attacchi alle chiese della minoranza cristiana.
Lo stato di emergenza dichiarato dal presidenteprovvisorio, AdlyMansour, ri­corda quello algerino di vent'anni fa. Gli islamici del Fis vinsero le elezioni nel di­cembre 1991. Il 4 gennaio i militari chiu­sero il Parlamento e iniziò una spavento­sa guerra civile durata dieci anni. Il 3 lu­glio il presidente eletto dei Fratelli musul­mani, Mohammed Morsi, è stato destitu­ito dall'attuale ministro della Difesa, ge­nerale Abdel Fattah El Sisi appoggiato da un’ampia fetta della popolazione. Ieri i militari e la polizia hanno scatenato il ba­gno di sangue per sgomberare i presidi della Fratellanza al Cairo che protestava­no contro il «golpe».A Rabba,uno dei sit­in smantellati nella capitale, si è assistito a un prologo della guerra civile: cecchini governativi sparavano dai tetti e militan­ti islamici rispondevano al fuoco.
La Fratellanza è un movimento politi­co- religioso storico in Egitto, che fin dai tempi di Nasser veniva represso e viveva in clandestinità. Il pericolo è che si formi una costola armata sull’esempio di Ha­mas, il movimento palestinese che co­manda a Gaza ispirato dai Fratelli musul­mani. Gli alleati non mancano. Ieri il gruppo Al Jamaa Al Islamiya, vicino ai so­stenitori di Morsi, ha annunciato che in Egitto «ci sarà una rivoluzione globale in tutto il Paese». Non si tratta di neofiti, ma degli eredi della formazione terrorista che insanguinarono il Paese negli anni Ottanta uccidendo il presidente Sadat e decine di turisti. I suoi membri hanno ab­bandonato da tempo la lotta armata, ma in questo caos potrebbero tornare ad im­bracciare le armi.
Chi fin dalle ore precedenti alla deposi­zione di Morsi aveva minacciato il Jihad è Mohammed Al Zawahiri, fratello mino­re di Ayman, il capo di Al Qaida dopo la morte di Bin Laden. Mohammed, scarce­rato grazie alla rivolta contro Mubarak, è uno dei leader dei Salafiti per la guerra santa, un cartello di gruppi estremisti egi­ziani.
Come in Algeria le zone desertiche e montagnose sono state per un decennio roccaforte del Fronte islamico e dei suoi eredi, il Sinai è già una terra di nessuno dove si nascondono cellule integraliste benarmategrazieaicontrabbandieribe­duini.
Una miscela esplosiva, ma la vera inco­gnita è il ruolo del potente partito salafita Al Nour, la seconda formazione politica egiziana. A parole stanno con i «martiri» islamici uccisi dalle forze di sicurezza, ma nei fatti cercano di fare le scarpe ai Fra­telli musulmani attirando il loro elettora­to. Dopo la deposizione di Morsi hanno addirittura trattato con il nuovo premier Hazem El Beblawi ed il vice premier Mohammad El Baradei. Quest’ultimo è l'anima più liberale del governo che non voleva l'intervento armato contro i Fratel­li musulmani. E per questo motivo, ieri, ha dato le dimissioni.
Ma le somiglianze con la tragediadel­l’Algeria non sono finite. Il generale Al Si­si aveva annunciato pubblicamente la destituzione di Morsi con al suo fianco l'imam di Al Azhar, la più importante isti­tuzione musulmana del Paese ed il «pa­pa » dei copti. Ieri la guida di Al Azhar ha preso le distanze dall'intervento di eserci­to e polizia.

Due chiese e un centro giova­nile cristiano, invece, sono stati presi d'as­salto e incendiati dagli islamici, come rappresaglia al bagno di sangue del Cai­ro.
Una deriva algerina scatenerebbe la caccia ai cristiani copti, che sono oltre il 10 per cento della popolazione.

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