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Il Giornale visita i marò nella loro cella in India GUARDA IL VIDEO

REPORTAGE / Il padre di Salvatore Girone stringe il figlio "anche a nome di tanti in patria". Scacchi e attrezzi da ginnastica per vincere la noia, mentre cresce la speranza VIDEO

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Trivandrum (India) - Un po' accaldati per l'afa che comincia a farsi soffocante, ma sempre a testa alta con indos­s­o la mimetica chiazzata del reggi­mento San Marco. Massimiliano Latorre e Salvato­re Girone escono dal «parlatorio» della prigione cen­trale di Trivan­drum, capoluogo dello stato del Ke­rala, dopo aver in­contrato i propri cari giunti dall'Ita­lia. In teoria non potrebbero parla­re con i giornalisti e allora viene istin­tivo stringersi la mano. E accompa­gnarli fra i flash dei fotografi indiani verso l'ingresso del vecchio carce­re coloniale ingle­se con grigie mura di cinta alte dieci metri.

La guardia alla garitta, con fucile e baionetta innestata, nep­pure si scompone. Un ufficiale italiano che accom­pagna i marò sussurra: «Adesso speriamo che inizi la discesa», do­po due mesi di galera. Le notizie sui soldi donati alle disgraziate fa­miglie dei due pescatori uccisi in alto mare il 15 febbraio fanno ben sperare. E ancora di più la sconfes­sione nell'aria dell'autorità della polizia del Kerala, che ha puntato il dito contro i marò, potrebbe ri­portare la palla sotto il controllo del governo centrale di Delhi e ver­so una soluzione indolore. Forse per questo o per la gioia di aver incontrato i parenti, che il ca­po Latorre rivolgendosi a Il Gior­nale dice: «Ci vediamo presto». Il tragitto dal «parlatorio» all'in­gresso del carcere dura poco, ma fa capire quanto sia rilassato il rap­porto con le guardie. Non solo: ogni tanto delle code di prigionie­ri indiani con le tuniche bianche ed un numero impresso rientra­no silenziosamente e diligente­mente dentro le mura. Fra le pal­me che circondano il forte­prigio­ne fanno lavoretti utili. Solo quan­do alle spalle dei marò si chiude il portone in legno massiccio del car­ce­re capisci che non è una passeg­giata. Da una feritoia due paia di occhietti dei secondini all'interno si agitano incuriositi e una tabella ottocentesca indica il numero dei prigionieri maschi, 933.

Oltre il portone, stile Alì Babà, non ci può andare nessuno a par­te i carcerati. I marò raccontano di stare in un piccolo compound, da soli, con le sbarre alle finestre ed una rete metallica tutt'attorno sor­montata dal reticolato. Dormono su dei tavolacci, che saranno anco­ra quelli inglesi, con l'unica como­dità di un materassino. I problemi più grossi sono il caldo e le zanza­re. La ventilazione è garantita dal­le vecchie pale, ma i fucilieri di ma­rina vengono addestrati a ben al­tro. «Da casa è arrivata una caffettie­ra e gli abbiamo fatto avere anche degli attrezzi per la ginnastica. Niente computer e tv, però. Solo li­bri e le migliaia di lettere e messag­gi di solidarietà che arrivano dall' Italia» racconta il capitano di fre­gata Donato Castrignano. Vetera­no del San Marco si è offerto volon­tario per occuparsi delle necessi­tà quotidiane. A cominciare dal menù italiano preparato dal risto­rante Casa Bianca: spesso fettucci­ne con la crema di funghi, lasagne alla domenica, pollo e macedonia alla sera. I marò hanno pure un «amico» dentro il carcere, che de­ve scontare ancora un anno dei 15 che si è beccato. Mr. Mani possie­de una radio e informa gli italiani degli sviluppi giudiziari del caso.

I fucilieri offrono il caffè e gli india­ni ricambiano con le ciapati, una specie di piadina farcita di cocco tritato. «Hanno preparato il caffè italiano anche al sovrintendente del carcere», sottolinea Castrigna­no. È lui che ogni mattina fa il pun­to­della situazione con i due prigio­nieri. Dal parlatorio i marò chia­mano via cellulare i figli prima che vadano a scuola, grazie al fuso ora­rio. Proprio Michele, 11 anni, pri­mogenito di Salvatore Girone e Giovanna Ardito ha fatto il regalo più bello a suo padre dietro le sbar­re in India. «I compagni di scuola di nostro figlio, alla festa del papà, hanno disegnato per Salvatore. Quello di Michele era fatto dalle sue mani stampate in blu su un fo­­glio con la scritta: ' Sono pronte ad abbracciarti'». Lo racconta la si­gnora Girone che ha conosciuto la sua anima gemella a 16 anni e di­ce: «Pure io ho fatto il fuciliere di marina accanto a mio marito con tre missioni sulle spalle, l'Afghani­stan nel 2011 e quest'ultima dell' antipirateria».

A trovare Salvatore sono venuti anche Michele e Ma­ria, i genitori. «Ci siamo abbraccia­ti fortissimo - spiega il padre - . A nome dei tanti che in Italia mi han­no chiesto di farlo». Solo il sito della Marina milita­re, fino a ieri, registrava 25mila contatti e sono stati spediti 8mila messaggi per i marò. La pagina Fa­cebook «Ridateci i nostri leoni» ha 32mila iscritti. Christian D'Adda­rio, giovane nipote di Massimilia­no Latorre, stringe forte la mano della zia Franca. «Parlo a nome di mio fratello: ci tiene a far sapere a tutti che ama i suoi tre figli, che so­no sempre stati il pensiero princi­pale » spiega la sorella del marò in carcere. Il riferimento è ad una po­lemica fuori luogo, in questa situa­zione, innescata dalla moglie in via di separazione di Latorre. «Ci sia­mo rincuorati ve­dendoli faccia a fac­cia. Li abbiamo tro­vati bene nel corpo e nello spirito - sot­tolinea Franca - . Confidiamo di ri­portarli a casa per­chè siamo convinti che la giustizia farà il suo corso prima in India e poi in Ita­lia ».

Ai due prigionie­ri hanno portato pure la dama e gli scacchi. I familiari portano al petto lo storico stemma del leone alato di San Marco. Non a caso su di loro veglia in questi giorni indiani il co­mandante Aldo Sciruicchio, an­che lui del reggimento. Con Lator­re ha fatto il durissimo corso per le truppe anfibie nel 1995. Smilzo, tutto d'un pezzo, ricorda la mar­ci­a forzata di 30 chilometri in tenu­ta da combattimento. «Se qualcu­no non ce la faceva si dividevano i suoi pesi - spiega quasi commos­so l'ufficiale - . Forza di volontà, spirito di corpo ci hanno insegna­to a superare le prove più dure e a non lasciare mai indietro nessu­no ».

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