I costi folli della sanità azzoppano gli Usa

Crescita incontrollabile della spesa medica. Troppe risorse sottratte a infrastrutture, ricerca e istruzione, così l’economia perde competitività

I costi folli della sanità  azzoppano gli Usa

Il giorno dopo il sì della Corte Suprema degli Stati Uniti, che ha giudicato costituzionale la riforma sanitaria fortemente voluta dal presidente Barack Obama, appare sempre più chiaro che «Obamacare» sarà un tema centrale non solo nel dibattito politico da qui alle presidenziali del 6 novembre, ma anche più in generale per il mondo economico americano. E i due ambiti appaiono strettamente interconnessi, con i costi sempre più colossali della sanità Usa che rischiano di diventare la palla al piede dello sviluppo e della competitività internazionale delle imprese statunitensi.
Dal punto di vista politico, anche ieri lo sfidante repubblicano alle presidenziali, Mitt Romney, ha ribadito che cancellare la riforma sanitaria sarà una sua priorità, che potrà essere centrata solo vincendo le elezioni per la Casa Bianca. E non è un caso se proprio in coincidenza con la luce verde dei supremi giudici a «Obamacare» si è verificato un boom di donazioni per la campagna elettorale di Romney: 4 milioni di dollari raccolti on-line. Sotto il profilo economico invece, sono i costi in continua espansione della sanità americana a preoccupare.

Un’interessante analisi di Foreign Policy approfondisce il tema del rischio che gli Stati Uniti corrono di andare incontro a un declino economico proprio in conseguenza delle eccessive risorse che vengono assorbite dal sistema sanitario nazionale. Le impressionanti cifre fornite mostrano una previsione di inarrestabile crescita della spesa federale in questo settore, che è già il più costoso per il bilancio dello Stato: alla fine del corrente 2012 saranno stati erogati 750 miliardi di dollari, pari a un quinto del bilancio federale. La cifra schizzerà a 1.600 miliardi nel 2022, per quasi raddoppiare ancora in un futuribile 2050, anno in cui la spesa sanitaria equivarrà a un nono del prodotto interno lordo del colosso americano. E tutto questo, aspetto non secondario, senza che si assista a un miglioramento delle prestazioni.
Le conseguenze negative di queste spese in continua espansione, sostiene Foreign Policy, si faranno immancabilmente sentire sull’economia degli Stati Uniti.

E questo in vari modi. Anzitutto, il fatto che la crescita della spesa medica federale superi sistematicamente la crescita economica si riflette in una carenza di risorse disponibili per altre spese essenziali per sostenere l’economia, quali le infrastrutture, l’istruzione, la formazione dei lavoratori e gli investimenti in tecnologie. Senza dimenticare, sottolinea l’analista, la contraddizione tra l’incremento delle spese mediche e l’inevitabile contrazione a questo connessa di quelle per il sostegno alle famiglie povere e ai bambini: un fenomeno già accaduto in diversi Stati dell’Unione è che le prime abbiano superato le seconde, diventando così la principale voce di spesa.

C’è poi un aspetto tipicamente americano, che riguarda la mobilità del lavoro, concetto di flessibilità considerato essenziale negli Stati Uniti: dal momento che è solitamente il datore di lavoro a provvedere dell’assicurazione sanitaria i suoi dipendenti, questi tenderanno a evitare di rinunciare al loro posto nel timore di perderla.

Ancora: la crescita della spesa sanitaria ha come effetti negativi la riduzione degli incrementi retributivi e la perdita del lavoro per la fascia dei bassi salariati.

Le aziende infatti aumentano meno gli stipendi perché trasferiscono quelle risorse alle polizze sanitarie, mentre assumere lavoratori con paghe basse non conviene più in quanto i costi per le loro assicurazioni superano gli incrementi alla produttività che questi nuovi dipendenti potrebbero garantire.
La soluzione? Ridurre la spesa sanitaria migliorando la qualità delle prestazioni. Facile a dirsi.

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