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Israele s'inchina a Sharon, l'ultimo leader guerriero

Il presidente Peres si commuove davanti "al valoroso combattente". Per la sua generazione è anche il commiato da un pezzo di storia

Israele s'inchina a Sharon, l'ultimo leader guerriero

Migliaia di persone sono venute a porgere l'ultimo omaggio alla salma di Ariel Sharon, esposta ieri per sei ore in tutto a Gerusalemme in uno spiazzo davanti alla Knesset, il Parlamento israeliano. L'ex primo ministro e brillante generale, più di una volta salvatore del proprio Paese nei momenti più difficili della sua breve storia ma anche oggetto di critiche quando non di odio per le sue decisioni più radicali, era stato in tutta la sua vita un personaggio controverso ma nessuno ha mai potuto negare l'evidenza delle sue migliori qualità: l'intelligenza, il coraggio fisico e quello delle proprie ragioni e, almeno nella parte finale della propria vita cosciente, la capacità di mettere davanti a queste ultime l'interesse nazionale.

Forse per questo ieri davanti al suo feretro coperto dalla bandiera israeliana è sfilata così tanta gente in così poco tempo, e per questo anche coloro che non avevano sempre condiviso le sue scelte hanno manifestato rispetto e rimpianto. Il commento più ricorrente tra le persone comuni, spesso in là negli anni, che hanno portato il loro omaggio, è stato «uomini così non ne nascono più». Doveva esserne consapevole anche il presidente della Repubblica Shimon Peres, che prima che fosse consentito l'ingresso al pubblico ha deposto una corona ai piedi della bara. Peres, per una vita suo avversario politico fino al capitolo finale della fondazione del partito centrista Kadima che li accomunò, si è visibilmente commosso nel dare l'addio «al mio caro amico, un soldato valoroso e un leader che sapeva osare, che amava il suo Paese e che da questo era amato».

Le lacrime che sono state viste rigare il volto dell'ormai novantenne Peres testimoniano non solo del dolore per il commiato, ma forse più ancora della consapevolezza che con la scomparsa fisica di Ariel Sharon (che è venuta a rendere definitiva quella di fatto sancita dalla sua caduta nel coma avvenuta otto anni fa) si conclude davvero un'epoca, di cui Peres stesso è ormai l'ultimo superstite insieme al più «giovane» Ehud Barak. Quella dei «leoni combattenti» sui fronti della militanza politica e delle armi, dei politici in divisa insomma come pure erano stati Yitzhak Rabin e a suo modo Moshe Dayan, eroi di un Israele da kibbutz e da trincea oggi rimpiazzato da una versione più tormentata e meno leggendaria.

Dopo l'omaggio pubblico di ieri, oggi nello stesso luogo si svolgerà la cerimonia ufficiale alla presenza del primo ministro Benyamin Netanyahu, dello stesso presidente Shimon Peres e della famiglia. A questi solenni funerali parteciperanno gli inviati dei Paesi stranieri. Tra questi saranno presenti il vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e quello tedesco Frank-Walter Steinmeier, l'ex premier britannico Tony Blair in rappresentanza del cosiddetto Quartetto dei negoziatori per il Medio Oriente. Il governo italiano sarà rappresentato dal viceministro degli Esteri Marta Dassù.

Quando la cerimonia riservata alle autorità sarà terminata, la solennità del protocollo lascerà spazio al dolore dei familiari.

Sarà allora per il vecchio generale il momento dell'ultimo viaggio fino al ranch dei Sicomori, la tenuta di famiglia nella regione desertica meridionale del Negev cui era legatissimo. Qui Sharon sarà tumulato, come aveva lasciato scritto nelle sue ultime volontà, accanto alla moglie Lili.

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