Il diritto piegato alla follia. Il processo al mostro Anders Behring Breivik si sta trasformando in questo. La giuria segue la rigida e grigia procedura e tratta Breivik come un delinquente qualsiasi. Lui recita a soggetto, interpreta meticolosamente la sceneggiatura di un processo già scritto. Da lui. Un processo in cui il procedimento diventa macchina ad orologeria governata non dai giudici ma dallimputato e laula una cassa di risonanza per le sue farneticazioni. Lo si capisce sin dalla prima battuta della deposizione resa ieri da Breivik. «Sono un rappresentante del movimento di resistenza norvegese ed europea e della rete dei Cavalieri templari». Esattamente le parole con cui Breivik immaginava, già nove mesi fa, di esordire in caso di cattura e processo. Chi non ci crede vada a pagina 1.108 di «2083 A European Declaration of Independence» - il delirio da 1.516 pagine messo on line alla vigilia della strage. Da lì in poi il resto della giornata processuale è un film già visto. Quando spiega beffardo che i 69 ragazzini uccisi sullisola di Utoya non erano «bambini innocenti, ma militanti del partito laburista» segue le regole anticipate a pagina 1.110. «Gli individui che sono accusato di aver giustiziato sono tutti traditori di categoria A e B, colpevoli di alto tradimento e condannati a morte». Quando sottolinea che «uccidere 70 persone può impedire una guerra civile», quando si dichiara «nato in una prigione chiamata Norvegia», quando «si dice per nulla spaventato dalla prospettiva della prigione» Breivik recita ancora a soggetto. Linterminabile dichiarazione di 17 pagine letta ieri è solo la sintesi della paranoica rivendicazione madre. In cui spiccano frasi come «rifarei tutto», «ho agito in legittima difesa», «chiedo la mia assoluzione», «ci siamo ispirati ad al Qaida, il gruppo militante di maggiore successo al mondo». Il problema sono i 65 minuti concessigli dalla corte per leggerla. Né il giudice signora Arntzen, né la procuratrice Inga Engh sembrano accorgersi della ragnatela in cui il ragno Breivik imprigiona laula. Una ragnatela progettata già a pagina 1.107 del dossier quando definisce il processo «unopportunità per presentare tutta la documentazione, le illustrazioni e le prove incluse in questo compendio». Un compendio in cui spiega che «lobbiettivo di un combattente della resistenza europea non è vincere il processo, ma presentare tutte le prove disponibili... garantire il massimo numero di simpatizzanti e militanti al movimento nazionale e/o europeo di resistenza patriotica». Da questo punto di vista il momento peggiore è linizio delludienza, quando la difesa chiede lestromissione dalla giuria di Thomas Indreboe, un giudice popolare colpevole di aver auspicato su Facebook la pena di morte per il colpevole. La richiesta sembra il colpo di scena di un thriller dove gli eventi sono governati non dalla legge, ma dai calcoli cinici e astuti di un serial killer. La pena di morte è largomento su cui Breivik punta per dividere il paese. «Lobbiettivo potrebbe essere costringere il parlamento del paese a introdurre la pena di morte... sarebbe notava a pagina 1.108 - unindiretta vittoria per il nostro movimento perché garantirebbe una significativa copertura mediatica alla nostra causa contribuendo a futuri reclutamenti». Una profezia paranoica, ma non tanto peregrina se la tentazione del boia sembra contagiare persino i membri della giuria popolare. Quando il procuratore Inga Engh chiede a Breivik di spiegare perché consideri «buone e non malvage» le proprie azioni è solo un altro punto regalato al mostro.
Che già nove mesi annotava la citazione di Mark Twain da regalare come risposta: «In tempi di cambiamento il patriota è solitario, fa paura e viene disprezzato. Ma quando la sua causa ha la meglio anche i paurosi si fanno avanti».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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