«Tutti marci». Lo slogan caro all'estrema destra francese - e in gran voga anche nel resto del continente - ha trovato nelle ultime 48 ore nuova linfa di cui nutrirsi ai piedi della Tour Eiffel. Non c'è destra o sinistra che tenga e non c'è nemmeno più l'alibi del gentil sesso meno avvezzo al potere e perciò meno corrotto o corruttibile. Nel giorno in cui la Francia potrebbe brindare al primo governo a maggioranza femminile della sua storia (18 ministri e 19 ministre, premier escluso) è proprio una donna, la più potente francese nel mondo, a finire nel tritacarne giudiziario e in quello dell'antipolitica. L'abitazione parigina di Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale (Fmi), è stata perquisita ieri nell'ambito di un'inchiesta per «abuso di potere». Nel mirino ci sono gli anni tra il 2007 e il 2011 passati da Lagarde alla guida del ministero dell'Economia e delle Finanze nell'era Sarkozy. Al vaglio della magistratura, che ha aperto il fascicolo contro ignoti, la decisione presa da «madame Fmi» di affidare la sentenza di un contenzioso tra l'uomo d'affari Bernard Tapie e la banca Credit Lyonnais (in quegli anni in mano allo Stato) a un tribunale arbitrale invece che a uno ordinario, con la conseguente decisione del tribunale di riconoscere a Tapie un risarcimento di 403 milioni di euro.
A meno di due anni dallo scandalo che travolse il francese Dominique Strauss Kahn, accusato di stupro e prosciolto solo dopo aver abbandonato la poltrona, il Fmi si trova alle prese con un'altra imbarazzante grana giudiziaria provocata da un leader parigino, nella fattispecie proprio la donna che in un recente sondaggio Ifop i francesi hanno indicato come la più indicata (34%) - prima di Marine Le Pen (31%) - «a rivestire un ruolo più importante in futuro» sulla scena politica francese. Madame Lagarde - il cui ruolo nell'arbitrato a favore di Tapie è stato preso in considerazione al momento della nomina a direttore del Fmi, come si affretta a precisare il portavoce del Fondo prima di trincerarsi in un no comment - rischia sulla carta cinque anni di carcere e 75mila euro di ammenda, ma fa sapere di «non avere nulla da rimproverarsi». D'altra parte il potere logora chi non ce l'ha. E logora oggi più che mai i francesi.
La tegola Lagarde arriva appena 24 ore dopo le dimissioni del ministro del Bilancio Jérôme Cahuzac: l'uomo del rigore, della grande lotta all'evasione fiscale e della tassa al 75% per colpire i ricconi di Francia costretto a lasciare dopo essere stato travolto dal sospetto, scoperchiato da un fascicolo giudiziario, di aver frodato il fisco. Lui continua a professarsi innocente ma i sospetti che abbia mentito al Paese e in Assemblea su un suo conto segreto in Svizzera sono sempre più fondati. Come fondato è lo sconcerto dell'opinione pubblica per un ministro che ha preteso di fare il fustigatore e il «paladino dell'ortodossia di bilancio» ma potrebbe aver aggirato il fisco in maniera persino più subdola del Depardieu a cui ha dichiarato guerra. Paradossi della politica che rischiano di ingrassare l'antipolitica.
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