Nuovi tiranni, nuove crudeltà. E il mondo tace

La Siria e le armi chimiche, l'Egitto e l'ascesa del generale Al Sisi, la nuova costituzione tunisina, la prova di forza dell'opposizione ucraina e l'ingovernabilità della Libia. Sono i temi che sequestrano le prime pagine dei media, catalizzando un'attenzione che sfugge su quanto si sta invece consumando ad altre latitudini. In Venezuela ad esempio qualcuno inizia a sostenere che si stava meglio quando si stava peggio, e che è tutto dire. Il delfino di Chavez, Nicolas Maduro, sta distruggendo quel poco che ancora di sano circolava. Ha addirittura bandito le telenovelas perché «fomentano l'odio e lo spirito negativo di emulazione». Affermazioni deliranti di un presidente convinto persino che la morte dell'attrice Monica Spear sia da mettere in relazione con la tv. Questa in realtà è solo una piccola parte emersa tra i mali di un Paese sull'orlo della bancarotta. Il Venezuela è il quarto produttore di petrolio al mondo, ma la benzina non si trova. Con un prezzo alla pompa pari a un centesimo di dollaro al litro, nessun distributore ritiene conveniente venderla. Più vantaggioso far proliferare il contrabbando verso la Colombia, dove il prezzo è di cento volte superiore. Per quel che riguarda l'esportazione ufficiale dell'oro nero si deve partire dal presupposto che Caracas produce circa gli stessi 2,9 milioni di barili di petrolio al giorno del 1998. Cuba riceve circa 100mila barili al giorno in cambio di fornitura di medici e insegnanti. Altri 600mila vanno in Cina per pagare 40 miliardi di dollari di prestiti che Chavez aveva ricevuto per finanziarsi la campagna elettorale. Il giorno della sua morte l'inflazione era attorno al 20%, oggi siamo al 56,4%, con problemi di riserve di valuta estera. La banca centrale dispone di 20,5 miliardi dollari, più della metà in oro. Incurante di questo limite il ministro delle Finanze, il generale (ed ex golpista) Rodolfo Marco Torres, ordina di stampare denaro a getto continuo. Di questo passo l'inflazione raggiungerà cifre astronomiche e il paese finirà nel novero dei failed states.
In Corea del Nord al momento il fallimento più evidente è di natura politica. Con il passare delle settimane emergono nuovi particolari del macabro repulisti perpetrato da Kim Jong Un, sull'onda del presunto tradimento dello zio Jang Song Thaek. Secondo quanto sostiene la stampa di Seul, l'ira di Kim si sarebbe scatenata su tutta la famiglia dello sventurato gerarca giustiziato il 12 dicembre scorso. Il dittatore di Pyongyang avrebbe ordinato l'esecuzione anche dei figli, dei fratelli e persino dei nipoti del 67enne Jang. La famiglia sarebbe stata richiamata con uno stratagemma nella capitale all'inizio di dicembre: tra le vittime, la sorella di Jang, Jang Kye Sun, il marito e ambasciatore a Cuba, Jon Yong Jin, il nipote di Jang e ambasciatore in Malaysia, Jang Yong Chol, insieme ai suoi due figli. Nel massacro non sarebbero stati risparmiati neppure i bimbi, col perfido obiettivo di non lasciare traccia del traditore.
A Cuba un centinaio di dissidenti è stato sottoposto a «Operation Limpieza», una sorta di grande bavaglio per silenziare le proteste. L'intervento di Castro non è casuale. Tra oggi e domani l'Avana diventerà la sede del summit delle comunità latinoamericane e degli stati caraibici (Celac).

Tra gli ospiti Cristina Fernandez Kirchner, Dilma Rousseff e il segretario generale dell'Onu Ban Ki Moon. Un'occasione per parlare del futuro dell'America Latina, che vive un periodo importante per quanto riguarda l'economia e l'industria. Un po' meno in materia di eguaglianza sociale e diritti civili.

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