La nostra immensa «deplorazione per la perdita di vite umane», in mezzo alla carneficina che nelle scorse ore ha preso il via in Egitto, è piuttosto ovvia. Quindi, l'ha naturalnente espressa lady Catherine Ashton, alto rappresentante per la Politica estera e la Sicurezza dell'Unione europea. Altrettanto ovvio il fatto che Ashton «esorta tutti i protagonisti ad astenersi dalla violenza e a rispettare i principi delle proteste pacifiche e della non violenza». Abituato a sua volta alle manifestazioni a Downing Street William Hague esprime gli stessi sentimenti e seguono tutti gli altri, preoccupandosi, chiedendo di star calmi. Lo sfondo di questo pensiero è l'idea che le parti in causa potrebbero trovare un accordo, che il compromesso, come usa da noi, potrebbe salvare delle vite. Intanto sale il numero di morti, l'odio avanza insieme alla violenza fra l'esercito di Abdel Fattah al Sisi e i Fratelli Musulmani di Morsi.
Il tipo di dichiarazioni che vengono fatte, come dice bene lo studioso Harold Rhode su Gatestone, sono totalmente prive di significato, e anzi riducono la nostra influenza. Insensato il tentativo di indurre alla calma parlando di qualcosa che è totalmente estraneo alla cultura di un mondo che non conosce il compromesso e la parziale rinuncia, ma solo la vittoria o la sconfitta. È assurdo che seguitiamo a sbagliare dopo che le nostre parole al vento hanno tolto sia all'Europa che agli Usa ogni credibilità a partire dalle «Primavere arabe»: vi abbiamo scorto segni di democratizzazione e abbiamo giubilato. In realtà, hanno vinto ovunque le forze ultrareligiose e hanno imposto regimi liberticidi.
È molto difficile - dopo che in Egitto una parte (la Fratellanza Musulmana, più i Salafiti) ha preso il 75 per cento dei voti e un presidente (Morsi) il 41 - non denunciare un attaco alla democrazia in un golpe militare. Ma è anche vero che lo scopo di quelle forze era un regime non democratico e islamista. Vuol dire allora che hanno vinto le forze laiche, cacciando la Fratellanza dal potere? Niente affatto, esse rappresentano una piccola parte della massa anti Morsi, e sarebbe assurdo ignorare due fatti: il primo, che l'Egitto è un Paese che ama l'islam e probabilmente quelli che ora sono in campo contro Morsi pensano che, con dei capi onesti e competenti, «l'islam è la risposta». La forza sociale e politica dei laici è scarsa. In secondo luogo, l'Egitto è un Paese dominato dall'esercito, che lo teme, lo odia, lo ama, è abituato ai suoi colpi di stato, sa che dal colpo di stato nasseriano nel '52 la forza trainante è l'esercito, con Nasser, Sadat o Mubarak. Il generale Mohammed Tantawi, fattosi da parte a 76 anni, ha governato più di Mubarak, l'esercito governa economia, posti di lavoro, opinione, è il decimo nel mondo per numero di uomini, Tantawi ha messo in galera prima dell'avvento di Morsi circa 10mila Fratelli.
Dobbiamo capire che l'islam, per cultura e onore, non cerca il compromesso, Hamas e Fatah si odieranno per sempre, Erdogan e la sua opposizione non arriveranno a un accordo, Assad e i ribelli hanno scelto la carneficina, Saddam Hussein si fece ammazzare piuttosto di trovare un compromesso. Occorre, se vogliamo incidere, fare la voce grossa, stabilire una politica condizionale, avere il coraggio di scegliere chi fa meno danno. In questo caso, probabilmente, è l'esercito.
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