La povertà a Teheran fa scoppiare la rivolta del bazar

Le sanzioni occidentali fanno crollare l'export di petrolio e il valore della moneta. Così l'inflazione fa esplodere la rabbia

Rivolta esplosa nei pressi del bazar di Teheran
Rivolta esplosa nei pressi del bazar di Teheran

È comunque una grande notizia, anche se non ne sappiamo affatto l'esito, ma un dato di fatto è chiaro: esiste di nuovo un Iran coraggioso, non tutto è stato sommerso nel bagno di sangue in cui affogarono le proteste del 2009. Grande notizia, le sanzioni funzionano! Esiste un Iran stufo e spaventato dalle sanzioni che hanno ucciso l'economia persiana. L'esito di una operazione che appariva inconsistente, invece eccolo là, si vede nel gas dei fumogeni che la polizia del regime, in assetto di guerra, ieri ha sparato nelle vie di Teheran.
Non si tratta delle decine di migliaia del 2010, nè di un immenso pubblico di giovani che chiede democrazia. Si tratta invece del suk, della classe media, il bazar con la sua pazienza talora pusillanime, il suo ruolo di perno della stabilità, la piccola borghesia che però quando si arrabbia si arrabbia e crea i cambi di regime: questo mondo si è stufato. Centinaia di persone hanno chiuso i commerci del bazar, giustificandolo poi con motivi di sicurezza, ma la verità è la rabbia per la miseria che attribuiscono alla follia atomica del regime; sono stati fermati dalla polizia e minacciati. Molti dimostranti hanno gridato la loro rabbia sia alla banca centrale che a una banca di via Ferdowsi.
Agenzie di stampa si sono rincorse con notizie che riguardavano anche il fermo degli agenti di cambio di moneta straniera, accusati di aver causato con la caccia alla moneta forte il disastro, l'inflazione. Un dollaro che veniva pagato 10mila rial ora costa intorno a 34.500. L'inflazione è cresciuta, secondo dati ufficiali, del 25 per cento in tre giorni, ma la realtà suggerisce addirittura che sia giunta al 50 per cento.
Le perdite di lavoro toccano tutti i settori, dall'industria al commercio e anche il lavoro intellettuale. Nemmeno i contratti dei ricercatori vengono rinnovati. Secondo l'opinione dell'economista iraniano residente a Londra Mehrdad Emadi, consigliere dell'Unione Europea, «vedremo presto masse di disoccupati in coda per il pane». Il governo che elargiva generosi sussidi di stimolo all'impresa basata sul petrolio, non è più in grado di farlo. Le esportazioni di petrolio sono declinate del cinquanta per cento nell'ultimo anno, e così i guadagni della più vasta fonte di reddito sono calati del quaranta per cento.
Quali conseguenze può avere questa nuova situazione? Il tono minaccioso, le minacce di guerra a Israele, le dichiarazioni di disprezzo per l'Europa e gli Stati Uniti che Ahmadinejad ha rinnovato all'Onu sono il ruggito inane di un animale ferito. Ed è interessante che Netanyahu, il premier israeliano, abbia ripetuto a New York il rifiuto dell'atomica iraniana, ma con toni di quieta attesa strategica e di riconciliazione con Obama. Adesso, si prepara a un viaggio in Europa, in visita da Merkel e Hollande per convincerli a rafforzare le sanzioni. Ovvero: Israele, che fino a poco fa riteneva fallimentare la politica di sanzioni cui di fatto il regime non ha mai risposto con qualche segnale di acquiescenza, che ha spinto per anni Obama a attaccare le strutture nucleari, lascia in pace gli Usa nell'imminenza delle elezioni e ritiene invece che l'Europa possa giuocare un ruolo dirimente, appunto con le sanzioni.
C'è dietro la speranza del cambio, di mandare a casa gli ayatollah? Per ora è una speranza quasi inesistente. Non ci sono leader laici in vista, non lo erano del resto neppure Hussein Mousavi e Mehdi Karroubi nel 2009. Essi comunque, ambedue confinati agli arresti domiciliari, sono leader inagibili, e l'ex presidente «moderato» Khatami andando a votare per le elezioni parlamentari ha segnalato una qualche vicinanza al regime.
Per ora il famoso regime change non è in vista. Si può prefigurare semmai un eventuale rallentamento.

Ma, al contrario, si può anche ipotizzare che l'Iran punti tutto sulla bomba per ricattare il mondo a far cessare le sanzioni. No, per ora il cambio di regime non è il titolo di testa. Forse, quello di governo. Eppure, non si può fare a meno di sperarci un poco.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica