Gesti che pesano più delle parole. È l'abbraccio storico fra il presidente fra il presidente israeliano Shimon Peres e quello palestinese Abu Mazen l'immagine che sintetizza al meglio la giornata di ieri, in Vaticano, dedicata alla «invocazione» per la pace in Medio Oriente: anche se da Gerusalemme il premier Netanyahu non sembra gradire. Il Papa, leggermente arretrato, guarda i due leader politici, appena ricevuti. Lui, protagonista di un evento senza precedenti. Perché, per Bergoglio, la pace può dove la politica non arriva.
Ognuno prega a suo modo, ma insieme. Il primo ad arrivare a Casa Santa Marta in Vaticano è il presidente israeliano, con cinque minuti di anticipo rispetto al programma ufficiale. Alle 18.10, Peres saluta il Papa che lo aspetta sulla soglia della porta. Un abbraccio fraterno, poi i due si ritirano in una stanza per il colloquio privato, sotto l'immagine della Madonna che scioglie i nodi. Alle 18.30 è il turno di Abu Mazen. Stesso copione, stesso abbraccio, stessa stretta di mano. Anche con lui un incontro privato di una ventina di minuti. Alle 18.50 i due presidenti si trovano faccia a faccia; un abbraccio che ha il sapore di pace. Arriva il terzo ospite, o meglio il co-protagonista di questo evento: è il patriarca ortodosso Bartolomeo I, che il Papa ha voluto a fianco per rafforzare il suo ruolo di mediatore di pace.
I quattro leader, due politici e due religiosi, salgono a bordo di un pulmino bianco: tutti insieme, sorridono e si scambiano parole, prima di arrivare nel luogo dove si tiene il momento di preghiera, nei Giardini Vaticani. Un luogo neutro, libero da simboli religiosi. Le tre delegazioni pregano nell'ordine in cui le fedi abramitiche sono apparse nella storia: iniziano gli ebrei, poi i cristiani, infine i musulmani. La recita dei salmi si alterna a momenti di musica e silenzio. Per ciascuna delegazione tre momenti: un passaggio sulla creazione, una richiesta di perdono e una invocazione alla pace. Gli ebrei pregano nel giorno del Kippur: «Fa' che ognuno ami la pace e la persegua». L'invocazione dei musulmani è in arabo: «O Dio, porta la pace nella terra della pace». E per la prima volta nella storia viene letto il Corano in Vaticano.
Prende poi la parola il Papa. «Spero che questo incontro sia l'inizio di un cammino nuovo alla ricerca di ciò che unisce, per superare ciò che divide», dice Francesco. «Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all'incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d'animo». E il triplice appello a porre fine alle ostilità pronunciato nelle tre lingue: «Shalom, pace, salam!».
Peres ricorda come «la pace non viene facilmente» ma «dobbiamo adoperarci con tutte le nostre forze per raggiungerla. Per raggiungerla presto. Anche se ciò afferma il presidente israeliano - richiede sacrifici o compromessi». Affermazioni che mettono a disagio il premier Netanyahu, che da Gerusalemme critica duramente Abu Mazen e ricorda che Israele «per millenni ha pregato nella speranza di arrivare alla pace, ma fino a quando la pace non sarà stata fatta continueremo a rafforzare le nostre forze di sicurezza». Chiede pace anche Abu Mazen, «una pace giusta», ma il presidente palestinese chiede anche «libertà in uno Stato sovrano e indipendente». E ancora: «Sicurezza, salvezza e stabilità» per il popolo palestinese e la sua regione.
Come avvenuto per la giornata di preghiera per la pace in Siria, a settembre scorso, che aveva bloccato ogni tentativo di intervento armato da parte degli Stati Uniti, il Papa ha lanciato via Twitter l'hashtag #weprayforpeace. È l'arma, per Papa Francesco, della preghiera.
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