di Luigi Mascheroni
L'autorevolezza di un'istituzione, come quella degli uomini, si misura, fra le altre cose, sulla competenza, il coraggio, la capacità di dire qualcosa di nuovo rispetto all'opinione corrente. Caratteristiche che ultimamente al premio Nobel (almeno settore Letteratura) sembrano mancare. Sempre più condizionata nelle proprie scelte dalla valenza politica di uno scrittore che dal suo reale valore letterario, l'Accademia svedese non è più affidabile neppure sul primo punto. Il nuovo premiato, il cinese Mo Yan, ha scontentato tutti quando fu scelto, e continua a deludere oggi. Appena Stoccolma annunciò al mondo, l'11 ottobre scorso, il suo nome per il Nobel, moltissimi dissidenti espressero dubbi sulla scelta dell'Accademia, sottolineando la vicinanza (o per lo meno la poca distanza) tra l'autore di Sorgo rosso e il regime di Pechino. Anche a chi non conosceva Mo Yan (membro del Partito comunista e vice presidente dell'Associazione scrittori cinesi) fu chiaro che non si trattasse di un «ribelle». È vero: fresco di nomina, sull'onda dell'adrenalina, Mo Yan lanciò un appello per la liberazione di Liu Xiaobo, il suo connazionale e «collega» (gli fu assegnato il Nobel per la Pace nel 2010) già in carcere e ora agli arresti domiciliari per «sovversione». Ma ieri Mo Yan - pseudonimo che significa «Colui che non vuole parlare» - è tornato sui suoi passi. In una conferenza stampa tenuta a Stoccolma, dove lunedì si svolgerà la cerimonia di consegna del riconoscimento, ha dichiarato che non firmerà la petizione per la liberazione di Liu Xiaobo, sottoscritta già da 134 premi Nobel. Non solo. Difendendo indirettamente il sistema di controllo vigente in Cina, ha affermato di non aver mai lodato la censura, ma che comunque «esiste in ogni paese del mondo, l'unica differenza è il grado in cui viene esercitata». Ingraziandosi il regime, ma distruggendo la propria reputazione intellettuale in Occidente. E quella dell'istituzione Premio Nobel. Del resto, meno di due settimane fa, Herta Müller, vincitrice nel 2009, in un'intervista al quotidiano svedese Dagens Nyheter, ha detto che la scelta di consegnare il premio a Mo Yan è stata «una catastrofe» che non sarebbe mai dovuta accadere: voleva piangere quando l'ha saputo.
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