Solo cinque anni fa, nel pieno dell'esplosione di fiducia nei confronti dell'allora premier José Luis Rodrìguez Zapatero, la Spagna celebrava i suoi nuovi treni ad alta velocità: 2230 chilometri di percorso veloce, la rete ultrarapida più estesa del mondo. Un investimento da 250 milioni di euro: 200 chilometri in più di quella giapponese, 400 in più di quella francese, per non parlare del confronto con i rivali di sempre, cioè noi, i cugini italiani, chiaramente perdenti, almeno all'epoca, nella gara su rotaia. Il primo tratto, Madrid-Siviglia, fu inaugurato con l'Expo di Saragozza nel 2008.
La rete prometteva di traghettare il Paese verso il futuro, facendolo entrare a pieno titolo tra gli Stati europei più all'avanguardia. Rappresentava, per dirla con Guccini, quel «mito del progresso lanciato sopra i continenti», quel treno che «ruggendo si lascia indietro distanze che sembrano infinite».
Il cambiamento era fra i cavalli di battaglia del leader socialista, eletto due volte alla Moncloa, assieme ad alcuni temi etici e sociali, dal ritiro delle truppe in Irak ai matrimoni tra omosessuali e al divorzio breve, dalla regolarizzazione dei migranti clandestini alla fecondazione assistita e all'aborto.
Poi come una doccia fredda è arrivata la crisi, è esplosa la bolla immobiliare, la fiducia verso «Zp», come affettuosamente lo chiamavano i suoi sostenitori, è crollata. Il governo Rajoy a più riprese annuncia di voler rimettere mano alla legge sull'aborto (restringendone parecchio i limiti). E ora, dopo l'incidente di Santiago, costato la vita il 24 luglio a 79 persone, quella rete ferroviaria che doveva essere l'orgoglio del Paese rivela con evidenza i suoi limiti. Tanto che nel pacchetto di misure proposto fa dal ministro spagnolo dello Sviluppo Ana Pastor, in cui si rimette in discussione l'intero sistema del trasporto su rotaia, c'è anche una revisione al ribasso dei limiti massimi di velocità. Almeno in alcuni dei punti lungo i 15333 chilometri di terra iberica percorsi dai treni. Dove, ancora non si sa. Ma che in parecchie parti del Paese esista un problema di velocità rispetto alla struttura delle rotaie è un fatto. In buona parte delle tratte - compresa quella che parte dalla curva Grandeira, dove i vagoni sono deragliati, e per tutto il resto del percorso galiziano - il sistema di frenaggio automatico non scatta ogni volta che si eccede rispetto alla velocità consentita, ma solo quando il treno supera i 200 chilometri orari, indipendentemente dal limite previsto in quel punto (nel caso dell'incidente, ad esempio, era di soli 80 chilometri orari). Succede per tutti i treni di alta velocità «Ave», e per alcuni degli «Alvia», come quello che si è schiantato entrando nella città galiziana. Certo che così un treno «corre, corre sempre più forte», ma il rischio è troppo alto, è come avere, hanno fatto notare alcuni, un'«alta velocità di seconda classe».
Il problema era stato timidamente sollevato, in quelle ore convulse subito dopo l'inferno di Santiago, dal sindacato dei macchinisti. E in questi giorni lo rimarca con insistenza il Partido Popular, che chiede se tra le cause del disastro non vi sia anche questo elemento. Una domanda cui per ora il ministro Pastor non risponde.
Ma si spende per «disegnare» un sistema ferroviario diverso, migliore. Con una segnaletica verticale nuova, il divieto per il macchinista di parlare al telefono se non in viva voce, regole più stringenti per l'accesso al mestiere, misure di monitoraggio dei passeggeri e di sostegno a questi in caso di gravi incidenti. E, soprattutto, una riduzione della velocità, anche collocando, nei punti più critici, dei dissuasori simili a quelli posti sulle strade per obbligare le auto a rallentare.
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