Studio choc da Harvard: "Il sogno americano? È soltanto un'illusione"

Negli Usa meno mobilità sociale che negli altri Paesi ricchi (Italia a parte). Ma le disuguaglianze non c'entrano

Studio choc da Harvard: "Il sogno americano? È soltanto un'illusione"

New York - Gli Stati Uniti si interrogano ancora una volta sullo stato di salute del Sogno americano. L'America resta la terra delle opportunità? A far ripartire le discussioni in questi giorni, come accade ciclicamente negli anni e nei decenni, c'è l'ennesimo studio, ci sono nuovi numeri e nuove statistiche. I giovani di famiglie dal reddito basso hanno le stesse probabilità di salire i gradini della scala economica dei loro coetanei degli anni 70. Nulla è cambiato. Se la generazione dei nati nel 1971 aveva l'8,4% delle possibilità di muoversi verso l'alto, i ragazzi nati nel 1986 hanno il 9% delle probabilità, spiega uno studio del National Bureau of Economic Research, condotto da economisti delle università di Harvard e Berkeley.

Con terminologia diversa, il Sogno americano in questi mesi è anche mantra politico. È di disuguaglianza sociale ed economica che parlano i politici a Washington: il presidente Barack Obama affronterà la questione della mobilità sociale e della povertà nel suo discorso sullo Stato dell'Unione fra pochi giorni; il neo sindaco democratico di New York, Bill de Blasio, ha impostato un'intera campagna elettorale sulle disuguaglianze sociali; la senatrice progressista Elizabeth Warren, il cui nome ricorre spesso quando di parla di presidenziali del 2016, non smette di attaccare banche e banchieri e di opporsi al divario economico. Gli autori dello studio pubblicato giovedì, però, mostrano sorpresa davanti alle nuove cifre: vanno contro la percezione dei politici - sia repubblicani sia democratici - convinti che un crescente divario tra ricchi e poveri blocchi la mobilità sociale. Il fatto che un 1% di super ricchi diventi ogni giorno più ricco, scrivono, non ha effetti sull'ascesa dei poveri, che resta uguale a quella di 40 anni fa.

Il dibattito sul Sogno americano riemerge ma in realtà è sempre vivo sia nell'asciutto mondo delle cifre sia nel discorso culturale degli Stati Uniti. Con il passare degli anni numeri e statistiche hanno minato ripetutamente l'idea di Sogno americano, così come lo ha codificato nel 1931 lo scrittore James Truslow Adams: «Quel sogno di una terra in cui la vita è migliore, più ricca e più piena per tutti, con opportunità per ognuno a seconda della sue abilità e conquiste». Le opinioni divergenti si confrontano sui numeri. Così James Freeman del Wall Street Journal analizzando ieri sulla tv online del giornale il nuovo rapporto ha spiegato che «non soltanto il sogno americano è vivo, ma è anche vivace», e che chi nasce povero e lavora duro può ancora arrivare in cima, in America.

Per Nathalien Hendren, uno dei ricercatori che ha firmato lo studio, il fatto che la mobilità in America non sia cambiata dagli anni 70 racconta invece un luogo in cui è più difficile rispetto ad altre nazioni uscire dalla povertà (su 22 Paesi gli Stati Uniti sono al 15imo posto per mobilità sociale, l'Italia è più in basso). «In un certo senso, come potrebbe andare peggio? - si chiede l'economista - non è che stiamo perdendo il Sogno americano, è che non lo abbiamo mai avuto». Eppure, quei diritti inalienabili fissati dalla Dichiarazione d'Indipendenza all'alba dell'Unione - «Vita, Libertà e Ricerca della Felicità» - sembrano avere il sopravvento sui numeri nel mantenere vivo tra la popolazione uno stato d'animo che spesso contrasta con le statistiche.

Ecco un esempio recente: a settembre 2013, in un altro studio - Allstate/National Journal Heartland Monitor Poll - sette genitori americani su dieci dichiaravano di essere convinti che i loro figli avranno poca sicurezza economica nel futuro. La metà dei teenager intervistati, però, mostrava qualcosa di difficilmente prevedibile con le statistiche: ottimismo. Sosteneva che è meglio essere giovani oggi che al tempo dei loro genitori.

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