Mondo

Turchia Si aggrava lo scandalo corruzione

Recep Tayyip Erdogan non è certo il tipo che teme le sfide, semmai quello che preoccupa è lo stile con cui le affronta da premier, mostrando sempre più evidente il suo lato autoritario. Membri del suo governo e suoi familiari finiscono sotto la lente della magistratura per corruzione e lui tenta di delegittimarla e di ostacolare le indagini; la piazza lo contesta e lui usa le maniere forti; l'opposizione chiede spiegazioni e pulizia e lui da una parte sostituisce dieci ministri, ma dall'altra grida al colpo di Stato.
Ieri sera, mentre l'escalation della crisi politica faceva precipitare la lira turca ai minimi storici, le piazze di Istanbul e della capitale Ankara si sono nuovamente riempite di manifestanti che chiedevano le dimissioni di Erdogan. E la reazione è stata pesante: a Istanbul gli agenti hanno sparato proiettili di plastica e usato cannoni ad acqua per impedire ai dimostranti di raggiungere la centrale piazza Taksim.
Il premier cerca di allontanare da sé e dal suo partito islamico Akp, al potere da undici anni, le responsabilità di uno scandalo che ha coinvolto quattro ministri, alcuni loro familiari e lo stesso figlio di Erdogan, Bilal. E lo fa parlando di «campagna diffamatoria» che punterebbe a minare «non me o il mio governo, ma la Turchia stessa, la cui economia e il cui peso sul piano globale crescono» e scaricando le responsabilità all'esterno. Sceglie bersagli grossi, affidando l'artiglieria ai media filogovernativi sui quali si legge di «ambasciatori stranieri impegnati in atti provocatori e che non siamo obbligati a tenere nel nostro Paese» (minaccia diretta al rappresentante americano ad Ankara Francis Ricciardone e che ha già provocato una replica piccata dal Dipartimento di Stato Usa), ma anche del rischio che l'aggravarsi della crisi politica fornisca un assist a qualche generale golpista. Anche qui la replica non si è fatta attendere: una nota sul sito internet delle forze armate - garanti della laicità dello Stato turco ormai infiltrate da elementi graditi all'Akp - assicura che queste «non intendono essere coinvolte nel dibattito politico».
Resta il fatto che Erdogan, ormai apertamente sfidato dal suo avversario (lui pure islamico) Fetullah Gülen che esercita la sua forte influenza dagli Stati Uniti dove si è autoesiliato nel 1999, fatica a tenere sotto controllo lo scandalo nonostante abbia rimosso decine di funzionari di polizia considerati vicini a Gülen.

Lo dimostra tra l'altro un pronunciamento del Consiglio di Stato turco, che ieri ha annullato un assai controverso decreto approvato a scandalo già esploso e che prevedeva che le forze di polizia dovessero informare i superiori prima di eseguire ordini della magistratura relativi a perquisizioni e arresti.

Commenti