Euro addio: nessuno ne parla ma in molti sono già al lavoro

Raccontano che, tanti anni fa, il professor Milton Friendman raccomandasse al suo allievo Antonio Martino: «Dica al governatore Fazio di non buttare i clichè della lira, non si sa mai...». Il premio Nobel per l’Economia, quando l’euro venne lanciato, disse che la moneta unica non avrebbe retto alla prima recessione seria. I fatti di questi mesi gli stanno dando ragione. E così l’idea di un «piano B» per l’euro sta uscendo dall’isolamento dei centri studi per approdare, confusamente per la verità, nel mondo politico e fra la gente comune. Molti europei - soprattutto in Germania, Olanda e nei Paesi nordici - non vogliono più pagare il conto per la Grecia, il Portogallo, e neppure per la Spagna e l’Italia. Allo stesso tempo, ai cittadini greci non dispiacerebbe un ritorno alla dracma, se questo potesse evitare i durissimi sacrifici imposto loro dal risanamento. Da noi, su Facebook esiste un gruppo che si chiama «Torniamo alla lira».
Ecco dunque che il tabù è rotto: si discute di un’eventualità che fino a qualche mese fa era inconcepibile. Il default pilotato della Grecia potrebbe alla fine, se ben condotto, salvare l’euro. Ma l’opzione B non è ancora accettata dai responsabili delle principali istituzioni europee. Tutti, dal commissario all’Economia Olli Rehn al presidente della Bce Jean-Claude Trichet, si affannano a smentire questa possibilità. «La Commissione europea non sta lavorando sull’ipotesi di un default della Grecia - assicurano a Bruxelles - ma alla concessione della prossima tranche di prestiti». Intanto, la Bce continua anche ad agire sui mercati: la settimana scorsa la banca ha acquistato titoli di Stato per 14 miliardi, portando il totale a sfiorare i 150 miliardi di euro. Il fallimento della Grecia non è una opzione, ha confermato Trichet. E la cancelliera tedesca Angela Merkel ha promesso al presidente della commissione Ue, Manuel Barroso, che il processo di approvazione del fondo salva-Stati dovrà essere chiuso entro settembre.
Nonostante questa salva di dichiarazioni rassicuranti, lo spread fra i titoli decennali greci e quelli tedeschi ha toccato i 2.000 punti base, dando così nuova linfa al «partito del default». Secondo Werner Sinn, presidente dell’Ifo (il più noto centro di ricerca economica della Germania), l’uscita di Atene dall’euro sarebbe alla fine la soluzione meno dolorosa: «L’opzione è la più semplice - spiega - ma spetta solo ai greci decidere. Gli spagnoli - aggiunge - troveranno una via d’uscita dalla crisi, non vedo né la Spagna né l’Italia in vero pericolo». Molto più difficile la situazione del Portogallo. L’uscita di uno o due Paesi dalla zona euro non provocherebbe il collasso della moneta unica, «ma solo una pausa, che richiederebbe una nuova partenza per garantire l’integrazione». Più o meno dello stesso avviso è George Soros, che in materia ha una certa esperienza avendo provocato l’uscita di lira e sterlina dal sistema monetario europeo nel ’92. «Il piano B serve per preservare la stessa Ue - dice - , e un default greco potrebbe essere inevitabile ma non per forza disordinato». Il contagio potrebbe coinvolgere Portogallo e Irlanda e tuttavia, sostiene il finanziere, il resto dell’Eurozona deve fare di tutto per circoscrivere la crisi.
Le conseguenze di un’implosione dell’euro sarebbero enormi. La banca svizzera Ubs le ha calcolate fra i 9.500 e gli 11.500 euro a persona soltanto per il primo anno, molto di più delle poche centinaia di euro pro-capite che rappresentano il costo dei salvataggi per i cittadini europei.

Ma il solo fatto che si facciano questi calcoli dimostra che l’impensabile è diventato pensabile. I clichè della lira sono custoditi in Banca d’Italia, teoricamente pronti alla bisogna. Ma, assicurano i massimi dirigenti di via Nazionale, oggi sono soltanto «pezzi da museo».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica