Va di moda l’innaturale. I ginecologi ci inseminano in vitro e, oplà, nasce il bambino. I biologi ibridano vegetali con dna di pesce e sfornano mais. Poteva mancare lo scienziato pazzo anche in politica? Non poteva e infatti c’è Pierlù Bersani che, via Pierferdy Casini, punta ad allearsi con Gianfry Fini. Un’inaudita clonazione tra comunisti e fascisti per ricordarci due verità: che la realtà supera la fantasia e che il peggio non è mai morto.
Se mai succedesse, ce l’avrà sulla coscienza il Cav che il giorno del giudizio dovrà risponderne al pari delle scappatelle con Ruby, Patrizia e fanciulle varie. Ma per l’impazzimento del duo dovrà pagare il fio. Vada per i baccanali con le mezze calzette, che sono peccati secondo natura. Ma spingere un ex pci nelle braccia di un ex msi è azzerare la logica, sfidare le leggi della fisica, rovesciare il mondo. Portare due brave persone come loro a bersi il cervello non gli sarà perdonato. Cos’altro, infatti, chiedeva il duo alla vita se non trascorrerla tra poltrone e privilegi? Invece, no. Ci si è messo di mezzo lui che domina la scena da quindici anni e li costringe a spigolare tra le briciole del potere. Perché è solo per sopravvivere all’invadenza del brianzolo che Pierlù e Gianfry sognano di mettersi insieme per sbaraccare il predominio del Mostro di Arcore. Puro stato di necessità, nessuna affinità elettiva.
Dunque, si delinea un’alleanza - o almeno una stretta complicità - tra i tre emiliani per abbattere il Cav. Quella tra Bersani, ormai democristianizzato, e Casini non stupisce. Ma fa accapponare quella implicita e conseguente tra Bersani e Fini. Le prove generali si sono già svolte. Ricordo ai lettori due episodi plateali. In luglio, alle prime avvisaglie del travaso d’odio di Gianfry verso il Cav, il segretario del Pd andò in visibilio e disse: «Per difendere la Costituzione potrei allearmi con Fini». Considerare il presidente della Camera un difensore della Costituzione fece capire che Bersani era già in preda alle traveggole. L’altro fatto risale a tre settimane fa durante lo show di Fazio e Saviano. Uno dopo l’altro si presentarono sulla scena per elencare rispettivamente i valori di sinistra e destra. Fu un minuetto. Dissero, con altre parole, le stesse cose. Bersani: «Gli immigrati sono italiani». Fini: «I figli degli immigrati sono gli italiani di domani». E proseguirono con una lista di immaginette fotocopia, annacquando fino alla parodia le differenze tra i loro mondi.
L’inquietante del flirt in atto non sta però in queste esplicite dichiarazioni d’amore, ma nella effettiva complicità tra di due. Tra luglio e oggi, com’è noto, Gianfry ne ha fatte più di Carlo in Francia. Ha mentito sulla casa di Montecarlo; ha detto che si sarebbe dimesso dalla carica se il cognatino fosse stato preso con le mani nel sacco ma, avuta la prova, non lo ha fatto; ha abusato della presidenza della Camera per fare il capopopolo; ha, con sprezzo per la neutralità del ruolo, presentato una mozione di sfiducia contro il governo; è stato sconfitto ma continua a insolentire il premier in barba al galateo istituzionale. E Bersani? Lo ha coperto, ha finto di non capire, lo ha incoraggiato ad andare avanti nello stravolgimento di ogni regola. Una massiccia complicità che, di fatto, ha già inaugurato l’alleanza fasciocomunista.
Siamo perciò a questo punto: in nome dell’antiberlusconismo si è saldato l’inciucio più teratologico che si potesse immaginare. Abbiamo pensato in passato che il massimo dell’aberrazione fosse sposare il diavolo con l’acqua santa. Ovvero Peppone con don Camillo. Il povero Guareschi, ritenendo di creare un’inarrivabile stranezza, faceva litigare i suoi due personaggi per poi riconciliarli per il bene di Brescello. Che so, un’alluvione del grande fiume che faceva unire gli sforzi dei seguaci di Peppone con gli «agrari» di don Camillo, il battesimo del figlio di un compagno che doveva restare nascosto per non imbarazzarlo, l’omaggio delle campane durante il funerale laico di un attivista morto in tafferugli, ecc. Inciucini di paese che facevano sorridere e avevano un che di poetico per la loro totale improbabilità. Mai però il vecchio Guareschi, che pure aveva immaginazione da vendere, avrebbe saputo escogitare quello che Bersani e Fini stanno realizzando: il patto contro natura tra ex stalinisti e ammiratori del Duce, fino a ieri.
Il trasformismo è un antico vizio dei politicanti italiani. La tradizione è solida, soprattutto a sinistra. L’invenzione è attribuita ad Agostino Depretis, l’uomo che cacciò la Destra storica dal potere. Bell’esemplare di versipelle fu anche il radicale Francesco Crispi. Non male pure Giovanni Giolitti, che governò trent’anni tenendo i piedi in due staffe. L’ultimo grande voltagabbana di sinistra fu Enrico Berlinguer che, d’accordo col codino Aldo Moro, fece dell’Italia una Brescello, proponendo alla Dc il compromesso storico. Tra i cattolici, oltre a Moro, si distinse per trasformismo il conte Gentiloni che unì i baciapile ai laici mangiapreti all’inizio del secolo scorso. Preso piede, il salto della quaglia infettò anche la destra. Mussolini passò da sinistra ai fasci di combattimento. I repubblicani di Salò, dopo la sconfitta nell’ultima guerra, si riciclarono in massa nel Pci e dintorni. Insomma, nel Bel Paese in fatto di coerenza non si salva nessuno.
Tutti però si erano fermati a una certa soglia. Ci si alleava, per esempio, con avversari che avevano un fondo comune. È il caso di comunisti e cattolici, che condividono una visione pauperista della società, detestano in eguale modo il mercato - che chiamano selvaggio -, il liberismo - che per loro è sempre sfrenato -, lo sviluppo - per definizione insostenibile - ed evocano in coro la solidarietà tra le genti, le classi, le generazioni, pur badando agli interessi propri senza guardare in faccia a nessuno. Anche il travaso, nel dopoguerra, dei fascisti nel Pci fu sottomesso a una regola ferrea: il transfuga abiurava e, solo dopo, diventava compagno a tutti gli effetti.
Nulla di ciò che fu assomiglia al pasticcio fasciocomunista che stanno mettendo in piedi Pierlù e Gianfry. Nessuno dei due rinnega niente. Ognuno ha alle spalle la propria storia: filosovietica Bersani, neofascista Fini. Con gli ovvi ammodernamenti per tenersi al passo: una spruzzata di liberismo il segretario del Pd, un’auto proclamazione di «destra moderna» il presidente del Fli. E con questa riverniciatura, più per gonzi che tra persone serie, si apprestano a marciare uniti per scotennare il Cav.
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