Politica

Da ex sindacalista fedelissimo Ds a supermanager da 600mila euro

Il numero uno della rete ferroviaria è stato segretario generale della Cgil trasporti dal 1986 al ’91. I critici: «È come se Cofferati guidasse la Pirelli»

Rodolfo Parietti

da Milano

C’è chi non gliel’ha mai perdonata: può forse un segretario generale della Cgil Trasporti smettere la tuta da sindacalista per indossare il doppiopetto del manager? Si direbbe di no: «È come se Cofferati fosse diventato amministratore delegato della Pirelli Cavi», sbottò qualcuno col dente avvelenato. Mauro Moretti, tuttavia, il grande salto l’ha fatto. Probabilmente senza rimpianto alcuno. Perché ha le ferrovie nel proprio dna, e a binari, carrozze e motrici ha dedicato la propria vita a cominciare dal 1977, quando ancora fresco di laurea cum laude in ingegneria elettronica trionfò al concorso pubblico per i ruoli direttivi di quella che ai tempi si chiamava Azienda autonoma ferrovie dello Stato prima di intraprendere, tra l’86 e il ’91, l’avventura sindacale.
In quasi trent’anni di carriera, il cinquantatreenne riminese Moretti si è fermato giusto il dovuto a ogni stazione manageriale importante delle Fs, fino ad arrivare a destinazione nel settembre scorso con la nomina ad amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana. Più che l’uomo che guardava passare i treni di Simenon, lui è stato l’uomo che ha visto passare un ad dopo l’altro. Da Mario Schimberni a Lorenzo Necci, da Giancarlo Cimoli a Elio Catania. Finché non è arrivato il suo turno. L’ambizione coniugata con la pazienza. Se i treni tricolori non arriveranno al capolinea per manifesto collasso finanziario, c’è da giurare che manterrà il ruolo del Grande Macchinista ancora per molto.
L’inossidabile fede diessina che da sempre lo accompagna è già una buona assicurazione di lunga permanenza (a patto che il governo non deragli), ma l’ingegnere può anche calare sul tavolo l’asso della professionalità e dell’esperienza. Non è poco per un ambiente abituato in passato a dover riciclare i manager scaricati dalle aziende delle ex Partecipazioni statali. Quegli stessi dirigenti che qualche anno fa pensarono di far saltare in aria un ponte sul Po in modo da prevenire le devastazioni di una piena in arrivo. Moretti risolse il problema in altro modo, in appena 24 ore: proprio per evitare i pericoli di un’ondata di piena, i ponti delle Fs possono infatti essere alzati di un paio di metri. Lui lo sapeva, gli altri no.
Se la competenza lo aiuta, il resto lo fa il carattere: impossibile, secondo chi lo conosce bene. Vero o no, resta il fatto che non appena ha ricevuto i galloni di amministratore delegato, Moretti ha cominciato a tagliare i costi, non senza aver prima accettato un ingaggio di 600mila euro l’anno, un quinto rispetto allo stipendio del suo predecessore, Elio Catania. Poi ha sospeso tutte le iniziative promozionali, comprese quelle natalizie e ha deciso di accentrare tutte le azioni di comunicazione, che saranno valutate «con rigore francescano». Dai manager, ha preteso una sorta di «voto di povertà»: basta con gli spostamenti in aereo, a meno che il treno non sia disponibile, e basta con gli uffici dalla metratura faraonica. Quindi, si è circondato di uomini di fiducia, con il pedigree da ferroviere. Ben fatto.

Al resto, però, dovranno provvedere le casse pubbliche.

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