Hai voglia a chiamarli compagni. Basta sfiorarli nelle vanità di primedonne e diventano belve feroci, altro che compagni. Prendete Fuksas, l’architetto superpagato e superpredicatore, quello sempre vestito di nero perchè fa minimal-chic, com’è chic essere anti-Cav, uno di quelli che firmano appelli democratici e si battono per la libertà di espressione minacciata dal regime strisciante. Ebbene, al campione di libertà Fuksas è bastato un vago accenno caricaturale, un riferimento lontano seppure artistico alla sua figura, fatto per giunta da un altro intellettuale progressista come Citto Maselli, per fargli saltare completamente i nervi. Il maestro ha lasciato il compasso e ha preso il piccone per demolire l’(ex) amico accusandolo di essere nell’ordine: un succhia-soldi pubblici, un regista specializzato in flop, un opportunista che usa la politica «come sostituto alla mancanza di talento». Bum! E per giunta non ti faccio il restauro promesso a gratis, tiè. Botte da orbi nella sinistra al caviale. Ma spieghiamo l’antefatto: l’architetto si è inferocito per via di un personaggio di Le ombre rosse, il film di Maselli fuori concorso a Venezia, un architetto di nome Varga (impersonato da Ennio Fantastichini) che secondo Fuksas «rimanda al sottoscritto» e che però «non è propriamente un personaggio edificante». In effetti l’architetto Varga ricorda un po’ Fuksas, ma come Fuksas tutta la specie vanesia di certi designer superstar e superpagati, tendenzialmente di sinistra perché il progressismo si abbina meglio al pavimento in wengé e al salotto minimal. Poi, quel Varga, nemmeno è pelato, e nemmeno veste alla Fuksas (invece del nero il personaggio del film sfoggia abiti etnici coloratissimi). Nel film poi (come ha raccontato su queste pagine Stenio Solinas) ci sono altre pseudo-caricature, un personaggio simil-Umberto Eco, un altro che ricorda Magris, una simil-Rossana Rossanda. Nessuno di loro (degli originali) però ha protestato, a Fuksas invece è bastato il tiepido accenno per mandare a quel paese Maselli, rinfacciandogli di essere «un regista che, per motivi para-politici, ha più incassato in contributi dal ministero della Cultura per i suoi film che differentemente dai finanziamenti cospicui, hanno avuto un pubblico quasi nullo». Poi Fuksas ha consumato la vendetta seduta stante: «Purtroppo quest'episodio mi porta mio malgrado a rifiutare quanto avevo accettato, ovvero il restauro della villa di Luchino Visconti a Ischia (proposta arrivatagli appunto da Maselli, ndr), grandissimo regista che a differenza di molti ha mostrato grandi qualità senza nascondere il fatto che era sinceramente comunista e senza mai usare la politica come sostituto alla mancanza di talento».
Dire che Maselli l’ha presa male è poco. Raggiunto dalle agenzie il regista ha accusato il fendente, probabilmente del tutto inatteso. «Sono colpito dalle dichiarazioni di Fuksas, le sue sono parole pesantissime che si commentano da sole. I personaggi del mio film sono di pura invenzione. Se la stampa gioca a riconoscervi persone reali la cosa non può riguardarmi». Ma perchè allora Fuksas si è risentito tanto? «Non saprei - taglia corto Maselli -, non c’entra nulla con lui». Sarà, ma Fuksas invece si dev’essere riconosciuto in pieno nell’eclettico architetto molto radical chic del film che, per ristrutturare un centro sociale, progetta un’opera talmente scombinata e fuori luogo da provocare l’incazzatura nei no global.
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