A «Famiglia Cristiana» l’ala sinistra contesta poi ubbidisce alla Chiesa

Un documento non firmato invita a opporsi al «conformismo ecclesiastico». Poi la retromarcia

da Roma

Miracoli dell’era Ratzinger. Famiglia Cristiana, il settimanale cattolico dei paolini, si ricompatta e rientra la protesta dei giornalisti di sinistra che contestavano il «conformismo ecclesiastico facile e grigio» della rivista, auspicando un giornale «meno acritico» verso le posizioni ufficiali della Chiesa. All’assemblea che si è svolta ieri pomeriggio a Milano è stato votato all’unanimità un comunicato nel quale si smentiscono i proclami di rivolta fatti filtrare nei giorni scorsi e si manifesta piena sintonia con la linea editoriale della direzione e dell’editore. Una linea che negli ultimi tempi, grazie anche al ricambio generazionale ai vertici della congregazione religiosa (va ricordato che i paolini, per volontà del fondatore, il beato Giacomo Alberione, fanno anche voto di fedeltà al Papa) ha riportato la barra al centro dopo la bufera degli anni Novanta, culminata con il «commissariamento» del gruppo da parte della Santa Sede.
In vent’anni Famiglia Cristiana ha perso quasi un milione di copie, è passata dalla diffusione prioritaria nelle parrocchie alla vendita in edicola, ha spesso sposato posizioni progressiste in campo teologico e morale, guardando con sospetto - al tempo stesso - la devozione popolare e il sorgere dei nuovi movimenti ecclesiali. Scelte che l’hanno allontanata dal suo pubblico tradizionale. Negli ultimi anni qualcosa è cambiato. E proprio le più recenti prese di posizione del settimanale cattolico, come quelle espresse riguardo ai «Dico» (la copertina dal titolo «Meno Dico più famiglia») ma anche ad eventi ecclesiali, hanno provocato il mal di pancia a quei giornalisti col cuore che batte a sinistra. Così, nei giorni scorsi, il Comitato di redazione di Famiglia Cristiana ha diffuso un documento non firmato e di autore ignoto, che doveva servire da base per la discussione, chiedendo a chi voleva di sottoscriverlo. Gli estensori del testo, rimpiangendo la direzione di don Leonardo Zega, conclusasi nel 1999 e durata 19 anni, hanno contestato i «troppi temi, personaggi, riferimenti di natura ecclesiale», auspicando il ritorno a un giornalismo che separa fatti dalle opinioni. Come se le posizioni del Papa, della Santa Sede e della Conferenza episcopale fossero «opinioni» da discutere e magari confutare in una rivista che si fregia del titolo di «cristiana» ed è di proprietà di una congregazione religiosa.
Il documento si è rivelato un boomerang. All’assemblea di ieri il Comitato di redazione ne ha minimizzato la portata e non sono emersi neanche i nomi degli ispiratori e dei firmatari (una decina o quindici su poco più di trenta giornalisti laici). Questo non significa, ovviamente, che il dissenso interno nei confronti della linea più «centrista» della direzione, sia scomparso. Ciò che è accaduto in questi giorni, con le divisioni interne messe in piazza e la rivolta dei giornalisti che non vogliono essere «il megafono della Chiesa», ha però provocato una reazione per certi versi inaspettata e che sta a indicare il superamento di un’epoca: i redattori più moderati e gli stessi editori religiosi hanno di fatto messo in minoranza i dissidenti, deprecando le strumentalizzazioni. L’assemblea ha confermato la piena sintonia con la direzione di don Antonio Sciortino.

Ha scritto Vittorio Messori nel suo Emporio cattolico (Sugarco): «Il giornalismo cattolico è - per sua origine e natura - di opinione. Ma se proprio l’“opinione” si intiepidisce, se si fa talmente debole e incerta da non potere essere subito riconosciuta come diversa da quella del “mondo”, anche i media che la veicolano diventano irrilevanti».

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