La fantascienza è un genere letterario nobilissimo. Con qualche giorno di ritardo, evidentemente per onorare i novant’anni dalla nascita del grande Isaac Asimov, maestro del genere, ieri Repubblica ha propinato ai suoi lettori l'ennesimo inverosimile complotto ideato da Giuseppe D'Avanzo.
La trama oscura questa volta sarebbe la seguente: il primo presidente della Cassazione, Vincenzo Carbone, potrebbe aver segretamente passato al ministro Alfano un suggerimento per chiudere il processo Mills e in cambio avrebbe ottenuto la possibilità di andare in pensione un anno più tardi e quindi di puntare ad un posto alla Corte Costituzionale. L’alto magistrato avrebbe suggerito di far chiarire al Parlamento, con una legge di interpretazione autentica, il contenuto dell’articolo 319 ter (quello della corruzione in atti giudiziari) allo scopo di specificare senza dubbi la sua inammissibilità nella forma «susseguente», vale a dire decisa e pagata solo dopo la supposta falsa testimonianza, reato che è alla base della condanna in appello dell’avvocato Mills e che coinvolgerebbe Berlusconi. Lo «scambio», secondo D’Avanzo, sarebbe analogo a quello ordito nel 2002 quando venne deciso un altro allungamento dell’età pensionabile alla vigilia di un altro pronunciamento della Suprema Corte, quello relativo al «legittimo sospetto» per i casi Sme e Imi-Sir.
Già qui si dovrebbe capire come ci si stia muovendo nel reame della fantasia, dato che all’epoca la decisione della Cassazione fu assolutamente contraria alle richieste degli imputati. Bello scambio, quindi, proprio degno di un bis. Un classico delle trame di D’Avanzo: se una cosa succede, il disegno criminoso è provato, se non succede il disegno criminoso è provato lo stesso, ma ha avuto poca fortuna. La cosa però che fa cadere come un castello di carte tutta la trama sognata da Repubblica è che D'Avanzo, nella sua «attenta» analisi, ha trascurato il «piccolo» particolare che il fantomatico suggerimento bisbigliato da Carbone in realtà poteva tranquillamente essere letto da chiunque, in prima pagina su il Giornale, subito dopo la sentenza d’appello del caso Mills.
Il fatto che una «corruzione susseguente in atti giudiziari» fosse un reato inesistente per buona parte della giurisprudenza (dato che non è molto sensato che uno venga approcciato con intenti corruttivi a processo ormai concluso) appariva evidente sin dalla lettura delle motivazioni. Sono un economista, ma anche senza bisogno di essere un giurista (e tantomeno un presidente di Cassazione) non era difficile ricordarsi che questo principio era stato chiaramente espresso nella famosa sentenza Imi-Sir e che, senza affannarsi troppo, l’avevo letto, come hanno fatto molti dei miei studenti, su di un comune testo di diritto penale, il Ronco-Ardizzone. Così, il giorno dopo la lettura delle motivazioni scrissi l’articolo intitolato «Corruzione postdatata: il giallo del reato che non c’è», che diceva chiaramente: «La corte di Appello di Milano che ha condannato l’avvocato Mills per corruzione in atti giudiziari ha regalato su un piatto d’argento a Berlusconi la soluzione per liberarsi in modo semplicissimo di un processo che, a rigor di logica, non avrebbe dovuto nemmeno cominciare (...) basterebbe un’interpretazione autentica della legge da parte del Parlamento che ribadisca il testo dell’articolo 319 ter, escludendo la possibilità di altre letture differenti da quella già analizzata dalla Cassazione nel 2006, per chiudere la partita». L’articolo venne subito pubblicato il 13 novembre.
Altro che trame oscure e scambi di favori, tutto alla luce del sole, nascosto come può esserlo la prima pagina di un quotidiano. Una simile scelta poi renderebbe del tutto ininfluente la posizione della Cassazione (e quindi inutile qualsiasi tipo di scambio) dato che la Corte non potrebbe che prendere atto dell’interpretazione, peraltro conforme a buona parte della giurisprudenza, data dal Legislatore. Meglio della fantascienza dunque.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.