Fassino fiuta la sconfitta: «Ora riparta il confronto»

Il leader ds torna ad attaccare Casini e Pera per la scelta del non voto, critica Pisanu sugli sms e annuncia: anche senza quorum la legge va cambiata

Fassino fiuta la sconfitta: «Ora riparta il confronto»

Laura Cesaretti

da Roma

«Sicuramente da domani qualche forzatura sarà tentata», è l’allarme che lancia Piero Fassino.
Il segretario della Quercia ha votato i suoi quattro sì «per difendere la vita» di buon mattino, ieri a Torino, insieme alla mamma. Poi si è collegato in diretta con Radio Radicale, per un ultimo round di confronto con gli ascoltatori, ad urne già aperte. «Quando vai in televisione sorridi di più, Piero, che quando sorridi ti illumini tutto», gli ha raccomandato una fan diessina. Ma c’era poco da sorridere, quando il giornalista dell’emittente pannelliana, Alessio Falconio, gli ha letto in diretta i primi dati sull’affluenza alle urne. Alle dodici è bassa al Nord, bassissima nel Mezzogiorno, mentre i sostenitori del sì avevano puntato la loro campagna, negli ultimi giorni, sull’invito ad andare presto alle urne, per creare un effetto trascinamento.
In questo senso, sottolinea Fassino, è stato «esemplare il comportamento del presidente Ciampi, che ha voluto indicare ai cittadini il valore fondamentale delle regole della nostra democrazia. Penso che chi ricopre alte cariche istituzionali dovrebbe, proprio per questo, essere attento a compiere atti volti a non allentare il rapporto di fiducia tra Stato e cittadini». La critica del leader della Quercia è rivolta ai presidenti di Camera e Senato: «Astenersi non è illegittimo - tiene a sottolineare - ma non condivido gli appelli a non andare a votare da parte di chi ricopre importanti funzioni istituzionali». In questo senso sono «deboli» le argomentazioni di Pera e Casini, che hanno invitato a disertare le urne. La critica punge sul vivo il capogruppo dell’Udc Volontè, che replica: «Fassino ha una concezione del rispetto delle istituzioni molto raffinata: applaude Ciampi perchè fa interviste sui quotidiani e si reca a votare; continua ad attaccare il presidente Pera e il presidente Casini perché esercitano il loro diritto di astenersi consapevolmente. La differenza tra noi e lui è che noi rispettiamo le scelte di tutti».
Ma il leader della Quercia ne ha anche per un altro ex Dc, il ministro degli Interni Pisanu, al quale rimprovera di aver tempestato di sms gli elettori per mandarli a votare alla vigilia delle Europee, mentre in questo caso ha rifiutato di farlo: «Una manifestazione di insensibilità e parzialità grave», perché «anche se a rigor di legge il governo non era obbligato», il precedente è troppo recente per essere dimenticato. «Quando si occupa di elezioni il ministro non può comportarsi come un esponente politico di Forza Italia», rincara il segretario ds. Che teme appunto «forzature», se l’astensionismo vincerà, ma che avverte: «Tutti sappiano che il referendum è una consultazione del tutto diverso dalle altre» e che «non ho mai chiesto 4 sì ai referendum dicendo che era un voto contro Berlusconi, perchè sarebbe stato una sciocchezza. Non si vota per Berlusconi o per Prodi, ma per una legge di interesse generale». Sulla quale la battaglia non verrà abbandonata, promette: «Anche senza quorum si aprirà un confronto in Parlamento per cambiare la legge 40».
Il fronte referendario, di cui il leader della Quercia ha preso la testa dopo lunghe incertezze, sapeva benissimo di dover affrontare una lotta impari: l’ossessiva campagna astensionista dei cattolici partiva avvantaggiata da un 30% «fisiologico» di renitenti al voto, dall’iper-esposizione mediatica dei messaggi papali, da liste elettorali appesantite da milioni di italiani all’estero del tutto all’oscuro (anche perché in molti casi defunti) sulla tenuta di un referendum. E che però contribuiscono al quorum, come le decine di migliaia di militari in missione all’estero, di malati e di detenuti cui è negata la possibilità di votare. Una battaglia difficilissima, dunque, e che tagliava trasversalmente i poli rischiando di portare carburante alle spinte neocentriste interne all’Unione: per questo il leader ds aveva inizialmente tentato di frenare gli entusiasmi referendari del suo partito.

E per questo fino all’ultimo lo stato maggiore della Quercia era pessimista sull’esito, e ragionava sul fatto che anche superare la soglia del 40% dei votanti sarebbe stato un successo di cui attribuirsi gran parte della paternità, visto che i partiti chiaramente impegnati per il sì, oltre ai Ds, sono stati solo Radicali e Rifondazione comunista.

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