Roma - Nel 2003 Sergio Cofferati, dopo l’addio dalla Cgil, fu definito per mesi, anche dai peggiori nemici, «una risorsa per la sinistra». Poi - durante una puntata di Ballarò - si ritrovò paragonato a «Gengis Khan» dallo stesso Massimo D’Alema che fino a pochi giorni prima, in omaggio al protocollo, ne decantava formalmente le doti. Nella stessa trasmissione Cofferati fu illuminato da un guizzo di ironia: «Si vede che sono una risorsa... per la Mongolia». Il «Cinese», che avrebbe dovuto diventare il leader della nuova sinistra, è finito - come è noto - sindaco di Bologna. Ma almeno è rimasto in questo stesso continente. A Piero Fassino è andata peggio. Da sei mesi a questa parte veniva definito da tutti i leader dell’Unione «una risorsa per la sinistra». Da ieri è ufficialmente «una risorsa per la Birmamia». Non si tratta di uno scherzo, nel senso che l’Europa ce l’ha letteralmente mandato, sia pure sotto il prestigioso mandato di «inviato speciale dell’Alto rappresentante per la politica estera Javier Solana».
Si chiude in questo modo un lussuoso ma eclatante caso di «mobbing istituzionale», il rebus che da mesi attanagliava la classe dirigente del Pd, sulla falsariga dell’inquietante interrogativo: «E ora, cosa facciamo fare a Piero?». Già, cosa? Perché Fassino, da quando si sono sciolti i Ds, era diventato una sorta di anima in pena, il parente in disgrazia da ricollocare. Tutti lo citavano in ogni occasione, ripetendo «Bisogna porsi il problema di Piero» (ad esempio Francesco Rutelli e Walter Veltroni alla festa dell’Unità). Ma poi, in un mondo di imbullonati a vita (alla poltrona), era difficile trovargli un qualunque strapuntino. Lui, ovviamente, aveva capito: da mesi faceva sapere che avrebbe «gradito» una nomina a vicepremier. Ma come si poteva «rimpastarlo» in un governo in cui se si muove una paglia cade tutto e in cui tutti ripetono che bisogna ridurre i ministeri? No, certo. Preclusa la via del governo, la prima alternativa possibile era un «incarico di prestigio» nel partito. Ma quando all’assemblea costituente di Rho non l’hanno nemmeno fatto parlare, Fassino ha capito che non era aria. Allora ha iniziato a circolare l’ipotesi della possibile presidenza di una «fondazione». Nulla di nuovo: quando in Italia non si sa cosa far fare a un politico si fa così: e invece di destinare il leader a una fondazione che c’è, si inventa una fondazione per lui. A sinistra è già accaduto con Massimo D’Alema e Giuliano Amato (Italianieuropei) e per lo stesso Cofferati (fondazione Di Vittorio). Ma l’astinenza dalla vita politica è così drammatica, che dopo due mesi in cui il leader si aggira per i locali spogli che servono solo a giustificargli il confort di una segretaria e l’ausilio di un portavoce, fugge a gambe levate, se solo gli propongono di fare il consigliere comunale a Garlasco (almeno lì qualcuno lo sente). Scartate queste ipotesi, restava solo quella del «prestigioso incarico europeo». Per dire: Achille Occhetto una volta lo nominarono vicepresidente dell’Internazionale socialista (ma se sei vice manco la segretaria ti danno). Però in Europa, dopo il colpo grosso di Prodi alla presidenza della Commissione europea ci vorranno tre secoli prima che ci tocchi un altro posto «di serie A».
Così, alla fine, l’unico incarichetto libero era quello offerto da Solana. Era meraviglioso, ieri, ascoltare il coro di congratulazioni di chi magnificava il nuovo ruolo, e lo straordinario vantaggio che il popolo birmano trarrà dalle missioni di Fassino. «Darà un grande contributo», si rallegrava Veltroni. «È una scelta lungimirante», osservava l’ex portavoce Roberto Cuillo. «L’Unione europea riconosce la sua autorevolezza», assicurava Marina Sereni, vicepresidente del gruppo dell’Ulivo. E Anna Finocchiaro: «Auguri di buon lavoro». Bisognava andare a leggersi la perfide dichiarazione del senatore aennino Alfredo Mantica per scoprire alcuni dettagli non irrilevanti «Dopo l’inviato dell’Onu arriva l’inviato speciale dell’Ue. Non vorremmo che si pensi di poter risolvere la crisi birmana con la nomina di più inviati. Nomine che peraltro denotano una mancanza di linea comune e ingenerano più un’idea di confusione che altro».
Ed era sempre Mantica ad aggiungere caustico: «Naturalmente ci sfugge la conoscenza della regione di Fassino, ma sicuramente lui sa come trattare con i comunisti di ieri e di oggi». Bazzecole. In realtà, il vero problema, è che nessuno sa cosa far fare ai politici, quando non sono più leader. Di Cincinnato, ce n’è uno ogni venti secoli: gli altri - come Fassino - sono costretti a emigrare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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