Favoriamo la lobby dei consumatori

di Carlo Lottieri

Mentre la crisi dei titoli di Stato (e con il divaricarsi dello spread tra Btp italiani e Bund tedeschi) evidenzia i mai risolti problemi del debito pubblico, finalmente qualcosa si muove nella direzione giusta sul fronte delle liberalizzazioni. La manovra che il governo sta per varare include infatti una norma che permetterà alle imprese commerciali di definire a loro piacere gli orari di apertura; dapprima nelle città d’arte e poi, a seguire, il tutto il Paese. Questa libertà riguarderà sia gli orari serali che i giorni festivi (domenica inclusa), aprendo la strada a una piccola rivoluzione - in prospettiva - anche nelle abitudini degli italiani.
Si tratta di una scelta corretta per una serie di ragioni. In primo luogo, quanti operano nel commercio vivono di profitti. I negozianti comprano a un prezzo e vendono a un altro (superiore), com’è giusto e necessario, ma i benefici che ottengono sono legittimi solo se il mercato è libero e nessuna posizione è protetta. Se invece vi sono ostacoli all’accesso al mercato, quei profitti si trasformano in rendite: si fanno ingiusti e indifendibili.
C’è poi l’urgenza di migliorare la qualità del nostro sistema distributivo, permettendo ai cittadini di trovare ciò di cui hanno bisogno anche alle 10 di sera o alla domenica pomeriggio: come già avviene in larga parte del mondo. Questo è importante per accogliere nel migliore dei modi i turisti, ma anche per migliorare la qualità della vita degli italiani. Per giunta, anteporre gli interessi dei consumatori significa sposare l’interesse generale contro i privilegi di parte: puntando su un ampio rinnovamento della nostra economia.
L’opinione pubblica non solo è favorevole, ma non aspetta altro. Lo conferma un recente sondaggio Ipsos commissionato dal ministero del Turismo, che mostra come ben quattro italiani su cinque reputino positiva una liberalizzazione di questo tipo, che ha il merito di riportare il tema della libertà d’iniziativa al centro della discussione: a ormai quattro anni di distanza dalle «lenzuolate» di Bersani.
Purtroppo, una parte dei commercianti e, soprattutto, alcuni vertici dei loro apparati sindacali mostrano ostilità verso questa misura. La tesi dei conservatori è che la riforma favorirebbe le grandi imprese della distribuzione (a partire dalle Coop), danneggiando i piccoli negozi, ma le cose non stanno così. Ampliare gli spazi di libera iniziativa aiuterà chi ha più voglia di lavorare, crescere, intraprendere; e in qualche modo stimolerà tutti a dare il meglio di sé. Senza dimenticare come una simile misura potrà anche permettere un aumento dei consumi e, a seguire, della stessa occupazione.
È bene che i commercianti scontenti evitino di mettersi di traverso. Al contrario, essi possono fare leva su questa scelta dell’esecutivo per chiedere che la liberalizzazione non si limiti agli orari delle botteghe e dei supermercati. Invece che giocare in difesa, dovrebbero pretendere altre analoghe riforme in settori diversi dal loro: che stavolta riguardino le poste e i trasporti ferroviari, le professioni legali (notai e avvocati) e i servizi pubblici locali.
Come cittadini e come imprenditori, i commercianti subiscono danni assai gravi dalla presenza di corporazioni e protezioni.

Oggi più che ieri, chi lavora nella distribuzione ha dunque il dovere farsi paladino in prima persona di un’Italia con meno lacci e proibizioni, e anche con un fisco più semplice e leggero. Le vere battaglie da combattere sono queste, e non già quelle orientate a difendere lo status quo.

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