Fede: un nuovo Tv4 e stasera le «Curve rosa»

Paolo Scotti

da Roma

«Ognuno ha la faccia che si merita». E se è lui, a dirlo, vuol dire che è la faccia di Neri Marcorè a dare la misura dei suoi meriti d’attore. «Evidentemente ispira un certo tipo di personaggi: goffi, esitanti e con qualche problema», commenta (ridendo) lui stesso. Già timido ed impacciato nel film d’esordio, Il Cuore altrove di Avati, eccolo divenire chiuso, fragile ma sensibilissimo, in quanto affetto dalla sindrome di Asperger, in E poi c’è Filippo: la nuova serie in sei puntate di Mediaset, in onda - per la regia di Maurizio Ponzi - da stasera su Canale 5.
«Questa malattia è una patologia autistica con molti sintomi - spiega Marcorè -, il mio Filippo comunica solo con frasi stereotipate, che sente in giro e ripete a pappagallo. In più queste frasi, compresi i luoghi comuni, lui le interpreta alla lettera. Ha alcune fobie: non vuole essere toccato, ad esempio, ha orrore dello sporco. Ma possiede anche una straordinaria memoria visiva, ha grandissime capacità di calcolo...».
Insomma, pare che lei abbia studiato bene il caso.
«Sì, perché questo è uno di quei ruoli che rappresentano una sfida - e dunque una calamita - per qualsiasi attore».
E poi c’è Filippo è la storia di due fratelli - lei e Giorgio Pasotti - costretti a lavorare assieme in uno studio legale, inizialmente in urto e poi, mano a mano, sempre più impegnati a conoscersi.
«Sì: la storia di un reciproco percorso di formazione. Ma anche con risvolti ironici e gialli: applicando in modo inatteso le sue insospettabili qualità d’osservazione, infatti, Filippo aiuterà il fratello a risolvere molti misteri».
È stato difficile trattare in forma di commedia un argomento tutt’altro che divertente?
«Be’, quel che mi premeva è che dell’autismo si parlasse con rispetto. Sia pure con grazia e leggerezza, noi teniamo sempre ben presente che si tratta di una malattia. E non solo di una buffa stranezza».
Questo tipo di personaggi - da Chance di Oltre il giardino all’eroe di Forrest Gump - ha le caratteristiche del «fool»: il pazzo che, però, vede più chiaro di chi ha la ragione.
«Sì: è il fascino della semplicità. Di chi con ingenuità solo apparente dice cose d’imprevista acutezza. Anche il mio prossimo personaggio, Papa Luciani, ne è abbondantemente provvisto».
Si è molto stupito quando le hanno proposto di interpretare per una fiction il «Papa del sorriso»?
«Per venti giorni non ho fatto che ripetere: ma è uno scherzo? Avevo molti dubbi sull’età, temevo d’essere troppo giovane. Poi mi sono convinto. Per raccontare la storia di Albino Luciani dai 25 ai 66 anni non farò un’imitazione, anche se ricorrerò al trucco e ad una leggera cadenza veneta nel parlare. Cercherò di afferrare lo spirito della sua purezza».
Una domanda inevitabile: fra tante chiacchiere e illazioni, quale tesi abbraccerà la fiction a proposito della morte di Giovanni Paolo I?
«Non ne abbraccerà nessuna. Si limiterà a raccontare quanto è accaduto. Il Papa morì per cause naturali, ad appena 33 giorni dalla sua elezione».


Lei si è fatto una fama di professionista solido ed intelligente anche presentando Per un pugno di libri, l’unico programma sull’editoria che vada in onda da sei anni.
«È l’eterno problema: come parlare di letteratura via etere? Certo: il nostro sistema è volutamente leggero. Approfondisce poco ma ha il merito di risultare divulgativo ed accessibile a tutti».

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