«La ferita andava ricucita: non si rompe sotto elezioni»

«La ferita andava ricucita: non si rompe sotto elezioni»

Luca Telese

da Roma

Ministro Alemanno nella base di Destra sociale, hanno considerato la vostra adesione al documento comune come un rospo difficile da mandare giù.
«Ci sono state delle difficoltà iniziali».
Però lei è soddisfatto lo stesso della mediazione?
«Sì. Vede, noi siamo un'area in cui le scelte si discutono e non si calano dall'alto. Abbiamo ragionato insieme, e ho spiegato che l'ordine del giorno è stato calibrato - soprattutto sul nodo del referendum - senza rinunciare ai nostri valori».
Ma perché, sarebbe stato un dramma se in An si fosse costituita una minoranza?
«Io non la considero una condizione ottimale, soprattutto adesso, alla vigilia del voto. Su questo ha ragione Fini: nel 2006 ci aspettano prima le elezioni, poi il congresso».
Lei però ha fatto un intervento da leader: mezz'ora di discorso e una piattaforma politica alternativa, sulle risposte da dare al vento neo-populista che soffia sull'europa
«È un'analisi che sto sviluppando da tempo».
Adolfo Urso l'ha accusata di cedimento alla demagogia.
«L'assurdità di quell'intervento è dimostrata da questa affermazione: io mi sono interrogato su come superare le spinte del moderno populismo anti europeista. Lui ha travisato questa analisi accusandomi addirittura di volerle cavalcare!».
Però è vera una cosa: la sua piattaforma è diversa da quella di Fini, certo più ambiziosa.
«Non lo so: forse la differenza più grande è che io sono più ottimista di lui sulla possibilità di modificare gli assetti politici attuali».
Non è una differenza da poco questa.
«Non è una differenza inconciliabile. Vede, abbiamo per fortuna iniziato un dibattito fra noi: io non nego che la piattaforma di Gianfranco, fra sei mesi, possa risultare più realistica della mia. Per fortuna abbiamo il tempo per mettere alla prova le nostre idee».
E intanto tutti scrivono che lei studia da leader. Ma perché in An non nasce una candidatura alternativa a quella di Fini?
«Le leadership nascono da elaborazioni serie e da processi di legittimazione profonda, non certo dalla lotteria delle autocandidature improvvisate. E in ogni caso nessuno vuole mettere in discussione la leadership di Fini».
Sabato avete criticato Fini in maniera durissima, domenica avete mediato. Perché?
«Bisognava ricucire la ferita che si era aperta sui referendum sulla procreazione. Nell'odg concordato con Fini si dice chiaramente che la legge 40 non si tocca se non nell'ambito di meccanismi già previsti dalla legge».
Ma alla fine, in questo braccio di ferro avete vinto voi o ha vinto lui?
«In questi due giorni ha vinto l'assemblea, che è diventata la vera protagonista delle scelte che abbiamo fatto. Hanno vinto il dibattito e la democrazia interna».
Ma la convergenza con Mantovano è finita con questa battaglia?
«Assolutamente no: con Mantovano, con Teodoro Buontempo e, spero, anche con Publio Fiori che dobbiamo recuperare, si è aperto un dialogo che poggia su una architrave comune: ci unisce un ragionamento lucido sulla necessità di una politica fondata sui valori».
Eravate a un passo dallo strappo con Fini.
«Sabato sono andato a dormire convinto che avrei votato contro. Per fortuna domenica abbiamo evitato il muro contro muro».
Lei ha parlato di primarie sulla leadership. Fini ha detto che non le crede possibili. È un nodo delicato.
«La mia era una proposta per non lasciare alla sinistra il primato della mobilitazione, non una conditio sine qua non.

Però sono convinto che sarà lo stesso Berlusconi a porsi il problema della legittimazione popolare della sua candidatura».
E se non lo facesse?
«Io voglio che si apra un dibattito perché per tornare a vincere una scelta così importante deve essere vissuta dal nostro popolo e non avvenga nel chiuso di un salotto».

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