FERMEZZA E FREDDEZZA

Nell’affrontare l’insidia del terrorismo, che è di gravità estrema, vanno evitati due errori e vanno rispettate due fondamentali esigenze. Gli errori, opposti ma egualmente deleteri, sono quello di una reazione nevrotica che ingigantisce la minaccia, e quello d’una sottovalutazione che alla minaccia non dà adeguato peso. Sia l’uno sia l’altro comportamento giova agli strateghi della grande cospirazione. Nel primo caso essi vedono subito realizzati, almeno in parte, i loro obiettivi. Che consistono sì nello spargere morte e rovina, ma ancor più consistono nel disgregare le istituzioni dell’Occidente, nel seminarvi panico, nel costringere Paesi democratici e «aperti» per vocazione e tradizione ad esserlo meno, ad arrestare uno sviluppo civile ed economico che, pur tra difficoltà, prosegue ininterrottamente da oltre mezzo secolo. L’Occidente non può essere prigioniero, fino al suicidio, delle sue logiche garantiste, ma non può rinunciare ad essere garantista per imposizione di assassini fanatici. Sarebbe, questo, un suicidio morale. Nel secondo caso - la sottovalutazione - il mondo libero rischia di spianare la strada a un’aggressione islamica che sicuramente non è di tutto l’Islam, ma che in quell’area religiosa - che non è geografica, e l’inchiesta sugli attentati di Londra lo conferma - trova i suoi capi, la sua manovalanza, i suoi sanguinari kamikaze.
Ecco allora - esprimo una mia opinione - le due esigenze. La prima: essere fermissimi, ma freddi. Parlare sottovoce - come suggeriva Teodoro Roosevelt -, impugnando un nodoso bastone ed essendo pronti ad usarlo. La seconda: chi ha, nel governo o nell’opposizione, responsabilità politiche, deve resistere alla tentazione di usare il terrore, e le emozioni che ne derivano, per fini partitici o elettorali, per acquisire facili consensi, per ottenere l’applauso patriottico di maniera. In queste situazioni eccezionali si vede la differenza tra il politico politicante e lo statista. È statista colui che, se le contingenze lo esigono, sa anteporre l’interesse del Paese al meschino interesse delle urne. Non è facile conciliare il garantismo e la sicurezza, la tutela individuale e la tutela della collettività. Mi pare che il ministro Pisanu, concordemente lodato, ci sia riuscito. Il no italiano - deciso da Berlusconi e da Pisanu - a una sospensione degli accordi di Schengen è a mio avviso saggio e coraggioso nello stesso tempo.
Quello della Francia è stato invece un cattivo esempio e un segnale di cedimento a calcoli di bassa lega. La rivalità tra Chirac e Sarkozy ha probabilmente contribuito a determinare questa deriva populista senza grandeur. Per fare il De Gaulle ci voleva De Gaulle, non i suoi imitatori. I francesi, che hanno bocciato la Costituzione, devono essere riconvertiti all’Europa. L’altolà a Schengen, che insieme all’euro è stato un caposaldo del processo d’integrazione, li renderà - inutilmente - più scettici e più diffidenti. Inutilmente perché il veleno del fanatismo islamico l’Inghilterra l’aveva e l’ha in casa, la Francia l’ha in casa, l’Italia l’ha in casa. Il problema non è tanto quello di chiudere le frontiere, quanto quello di espellere gli extracomunitari pericolosi, e di procedere con la massima cautela nella concessione di permessi di soggiorno (ancor più del passaporto italiano). La lezione inglese dimostra la sconsideratezza di alcuni faciloni della sinistra quando propongono che gli immigrati votino, intervengano, insomma siano quasi totalmente equiparati, nei diritti, ai cittadini italiani.

Per quanto concerne gli immigrati onesti, queste tesi peccano soltanto di demagogia. Per quanto concerne i potenziali complici o simpatizzanti di Al Qaida - primi nel chiedere e magari ottenere i loro bravi pezzi di carta - queste tesi sono stravaganti o deliranti.

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