La figlia «Mia madre mi proibiva i libri di papà»

Catherine Camus, figlia prediletta di Albert, è una bella signora di sessant'anni che sembra ancora una ragazza. O meglio «una ninfa scesa dal cielo dei miti» come la chiamava suo padre. «Che mi incoraggiava, fin da bambina, a scrivere, scrivere, scrivere». «Non ci dev’essere una sola intellettuale in famiglia», mi ripeteva sempre. «Mentre io non facevo che scrollare il capo. Soprattutto dopo aver letto di nascosto Lo straniero, il libro del delitto gratuito, che mia madre riteneva pericoloso per la mia formazione». Al telefono, Catherine che conosco da quando tradussi Il malinteso per la compagnia di Alida Valli, è perplessa. «Il quattro gennaio», confida, «il cinquantenario della scomparsa di Camus, non c’è una sala a Parigi che si ricordi dei suoi drammi. Che Camus considerava l’asse portante della sua attività». Come mai, secondo lei? «Perché fanno sempre paura. In Caligola i comunisti ancor oggi scorgono il germe dell’anarchia, per loro inaccettabile. E non parliamo della sua versione dei Demoni, che causò la rottura tra lui e Simone de Beauvoir».

Guarda, guarda e per quale motivo? «Perché Simone non voleva che il pensiero di Dostoevskji contagiasse il puro fiore dell’esistenzialismo. Che doveva obbedire a un credo detenuto in prima persona da lei sola, innamorata delusa di un Albert che non aveva ceduto alle sue profferte».

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