La figlia rifiuta un lavoro? Il padre non deve mantenerla

Cesare Rimini: «A quell’età bisogna già guadagnare»

Enza Cusmai

I figli minorenni bisogna mantenerli, dice la legge e anche la logica del cuore. Quando diventano maggiorenni, la legge dice ancora che bisogna mantenerli fino a quando diventano indipendenti, ma la logica del cuore scricchiola e soprattutto i padri cominciano a domandarsi fino a quando bisogna sganciar soldi per il fanciullo o la fanciulla ormai adulti. Così i contrasti familiari fioriscono e i tribunali civili vengono puntualmente interpellati. Ma questo non basta. Molte cause finiscono in Cassazione, il giudice di ultima istanza, quello che dovrebbe mettere fine a ogni sorta di contrasto. Ma proprio la Suprema corte a volte alimenta confusione in un delicato settore del diritto familiare. Almeno apparentemente.
Prendiamo la prima sezione civile della Suprema corte. In pochi giorni ha emesso due decisioni che sembrano contrastare tra di loro. La prima riguardava il caso di un giovane e promettente neolaureato in legge con tanto di master targato Usa che pretendeva di essere mantenuto ancora dal padre naturale nonostante potesse presentare delle invidiabili credenziali per ottenere un posto di lavoro. Di fronte a un caso simile i giudici supremi hanno dato ragione al padre e hanno sospeso il mantenimento richiesto. La seconda sentenza, invece, riguardava la situazione di una ragazza, invalida al 46%, convivente con la madre separata, che pretendeva l’assegno di mantenimento nonostante le fosse offerta l’opportunità di lavoro proprio nell’azienda del padre. La ragazza sosteneva che il lavoro proposto (da commessa) fosse troppo pesante per le sue condizioni di salute. Non solo. Lei avrebbe voluto terminare gli studi universitari e raggiungere l’indipendenza economica solo dopo la laurea. Anche in questo caso, però, la Suprema corte ha dato ragione al padre e rinviato gli atti alla corte d’Appello che peraltro aveva già dato parere negativo alle istanze della ragazza. Due casi molto diversi con un finale identico. Una svista della Corte suprema? «Assolutamente no» replica deciso l’avvocato Cesare Rimini, un superesperto in fatto di cause familiari. «La Cassazione resta fedele a tre principi di fondo che è necessario rispettare nel caso di richieste di mantenimento». Eccole. Prima regola: «La maggiore età non conta nulla, perché i figli vanno comunque mantenuti e seguiti anche dopo la maggiore età». Seconda regola: «L’assistenza va garantita a condizione che il giovane si impegni a studiare con costanza e successivamente si impegni a cercare un posto di lavoro adeguato». Terzo e importante principio: «Il ragazzo non deve perdere tempo né crogiolarsi in una condizione di comodo. La Cassazione non accetta le rendite parassitarie. Il mantenimento vale fino a quando non diventa una scusa per non lavorare».
I giudici dunque avvertono le nuove generazioni e lanciano un monito: i parassiti nella società non li vogliamo. E anche Cesare Rimini è perfettamente d’accordo. «Il caso del neo laureato con master in America si commenta da solo, ma anche la storia della ragazza che rifiuta un posto di lavoro non deve troppo intenerire. In sostanza, all’epoca della sentenza lei aveva già trent’anni.

E a quell’età o si segue un super master ad altissimi livelli, che dunque sarebbe un peccato interrompere, oppure è il momento in cui si devono abbandonare le aspirazioni per cominciare a lavorare e guadagnarsi da vivere senza l’aiuto di mamma e papà».

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