La figlia di Toni Negri racconta la precarietà di lavoro e sentimenti

Esce l’11 aprile «Riprendimi» già presentato al Sundance Festival

da Roma

Come una nube di piombo, grava sul dibattito italiano delle ultime ore la questione del precariato e di quanto difficile sia, per i giovani, programmarsi un futuro, finito il posto fisso. E giù tetraggini e anatemi a chi stemperi con allegria questa tragedia postmoderna. Gli anglofoni lo chiamano whishful thinking, pensare beneaugurante anche a dispetto della crisi: se si affida la vita a un capello, meglio dibattersi, strappando quel filo di speranza rimasta, o ridere, amaro, ma ridere? Il nostro cinema, a proposito di vite ballerine e di lavoro intermittente come le frecce dell’automobile, risponde con la commedia all’italiana. E mentre aspettiamo Tutta la vita davanti di Paolo Virzì, commedia corale sul mondo dei call center, dove si lavora «a progetto», a indicarci la via del disincanto, nel Bel Paese sfinito di poveri, ma vecchi, ecco la quarantatreenne Anna Negri, che l’11 aprile manda nelle sale il suo secondo lungometraggio, Riprendimi, unico film italiano in concorso al Sundance Film Festival di Robert Redford.
Al largo pubblico questo nome semplice non dice molto. Ma si tratta della figlia di Toni, l’ideologo di Autonomia operaia e dei Quaderni Rossi, di un cattivo maestro, che lo Stato condannò per associazione sovversiva. Un papà terrorista, che scrive e dice la sua, dovrebbe ingombrarti la testa come un menhir davanti all’uscio di casa. Invece lei, la simpatica vecchia ragazza che ci ha messo otto anni per arrivare al suo low budget (settecentomila euro), prodotto da Francesca Neri («una produttrice nata») e girato in ventuno giorni, spruzza di leggerezza la sua storia pesante. E alla fatidica domanda sul padre, tira fuori Angelina Jolie. «Spero di arrivare a un giorno, in cui non sarò io sua figlia, ma lui mio padre. Un po’ come tra Angelina Jolie e John Voight. Chi si ricorda più del padre della Jolie?», risponde con voce garbata e l’erre moscia da timida. «Ho girato una tragicommedia autobiografica, anche nel distacco ironico del tono, nelle montagne russe emotive e scanzonate dei miei protagonisti. Ero felice d’avere pochi soldi, perché impiegando attori giovani e bravi, sapevo che avrei scoperto delle star», spiega Anna, mentre il figlio Luca la reclama ancora, dopo una festicciola tra bambini. «Ridere dei problemi delle persone è fondamentale, per me, che guardo al dolceamaro di Stephen Frears, mio regista di riferimento. Per via del mio carattere, mi trovo in sintonia con la cultura anglosassone. A diciott’anni sono andata a Londra, al College of printing, perché mi era congeniale e non vedo l’ora di tornarci. Lavorare in Italia è un inferno», dice la regista, che nel 1999 si fece notare (a Berlino) per In principio erano le mutande, film tivù con Stefania Rocca.
Ma di che cosa parla Riprendimi, che nel titolo allude al doppio senso di «riprendimi con te» (c’è una coppia che scoppia) e di «fammi il filmino»? Nella Roma multietnica di Piazza Vittorio (ormai topos fisso, ma la Negri ha usato casa sua per gli interni) la giovane Lucia, montatrice precaria in Rai, interpretata dalla ventinovenne Alba Rohrwacher, qui al suo secondo film sul precariato (dopo Giorni e nuvole di Soldini) vive con Giovanni (Marco Foschi), attore senza ingaggi, e il loro bambino Paolino (due gemelli di un anno e mezzo, alternati nelle riprese). Durante una cena di compleanno lui se ne va e lei resta sola col figlio, proprio mentre due documentaristi devono girare un film su di loro, la coppia perfetta non più tale. Anche loro, telecamerina in spalla, sono due poveracci: per girare la docufiction hanno subaffittato la casa e vivono in macchina... «La scena più divertente? Dovevo salire su un tram affollato, col bimbo in braccio. La gente voleva aiutarmi a salire e io a dire no, lasciate stare!, perché dovevo trasmettere la solitudine d’una mamma sola. Ma quelle, non erano comparse», ride la Rohrwacher che ha finito di girare Il padre di Giovanna di Pupi Avati (con Silvio Orlando e Francesca Neri).


«Negli Usa ha colpito la spontaneità degli attori in piano sequenza: il pubblico ha l’impressione di assistere a un vero documentario. Ma resta centrale una questione: se una non ha lavoro, in un paese a crescita zero, come prende il congedo di maternità?», scherza la Negri.

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