Filippo Siphong & C.

Prima del 1939 la Thailandia si chiamava Siam. La sua Corte era buddista ma tollerava la presenza di missionari occidentali. Ma dopo il 1939, sotto la minaccia giapponese, aumentarono i sentimenti nazionalisti e le autorità effettuarono un giro di vite sugli stranieri, chiudendo missioni e pressando i cristiani locali a tornare al buddismo. Caduta la Francia nel 1940, il governo di Vichy concesse al Giappone una base militare nella vicina Indocina. Subito la Thailandia rispose militarmente invadendo l’Indocina settentrionale. Nel novembre del 1940 la polizia del governatore Boonlue Muangkote circondò Songkhon, paesino di confine sul fiume Mekong e ne cacciò il sacerdote cattolico, p. Paolo Fige. Il catechista Filippo Siphong Ouphitah andò a protestare al quartier generale della polizia: fu poi trovato morto e con segni di tortura. Due suore indigene dell’ordine della Santa Croce, Agnese Phila (trentun anni) e Lucia Khambang (ventitré), insegnavano nella scuola della missione e vennero minacciate ripetutamente: dovevano vestire alla thailandese e farsi buddiste. Le due suore, con quattro delle allieve più grandi e la cuoca Agata Phutta, andarono al cimitero a pregare ma, mentre erano inginocchiate, furono aggredite e uccise sul posto.

Delle quattro ragazze, Cecilia Butsi (sedici anni), Viviana Kampai (quindici) e Maria Phong (quattordici) morirono subito. La quarta, Soru (la più piccola), riuscì chissà come a sfuggire alle pallottole e fu nascosta dagli abitanti del luogo. L’anno seguente il Giappone invase la Thailandia e cessarono le vessazioni sui cristiani.

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