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Il filosofo del diritto alla vita: "Eluana, un caso di imperialismo giudiziario"

Paolo Becchi è docente all’Università di Genova. Traduce Hans Jonas e contesta i trapianti di organi "basati su false informazioni". Citandolo, L’Osservatore Romano ha provocato il finimondo

Il filosofo del diritto alla vita: "Eluana, un caso 
di imperialismo giudiziario"

La sentenza del professor Paolo Becchi sul caso Eluana Englaro è lapidaria, appena due parole: «Imperialismo giudiziario ». Il docente universitario parla con cognizione di causa: è filosofo e giurista. «La Cassazione e la Corte d’appello di Milano si sono sostituite al legislatore. Mail compito del giudice è applicare le leggi, non la Costituzione. Le toghe sono entrate in un conflitto fra due valori contrapposti - l’autodeterminazione della persona e la sacralità della vita - che era di stretta competenza del Parlamento. Siamo alla tirannia de ivalori. Il potere giudiziario ha l’obbligo di attenersi ai codici, punto e basta. E se le leggi non ci sono, o appaiono in contrasto con la Costituzione, i magistrati devono sollevare la questione di legittimità costituzionale. Come mai in17 anni non vi è stato un solo giudice che sia ricorso alla Corte costituzionale per Eluana? Hanno preferito farle loro, le leggi. Ora chi ci salverà dal governo dei giudici?».

Becchi non ama mimetizzarsi fra i cavilli. Da un quarto di secolo è docente di filosofia del diritto nella facoltà di giurisprudenza dell’Università di Genova, la città dov’è nato. Lo trovo chino sui libri nel più autorevole dipartimento di cultura giuridica che esista in Italia, quello intitolato a Giovanni Tarello (1934-1987), ricco di scienza e povero di mezzi: sugli scaffali in corridoio le raccolte delle riviste scientifiche - Legal Studies, The Monist, Leviathan, Metaphilosophy - fermano al 2004, dal 2005 solo fascicoli sciolti, segno che sono venuti amancare i soldi per rilegarli. Insegna anche in Svizzera, all’Università di Lucerna. Ha scritto una quindicina di volumi. In questi giorni è uscito La vulnerabilità della vita, l’ennesimo contributo su Hans Jonas, il filosofo tedesco contrario all’eutanasia del quale ha tradotto molte opere.

Alle polemiche sul fine vita il professor Becchi sta facendo il callo.Lo scorso 3 settembre è bastato che la storica Lucetta Scaraffia citasse il suo libro Morte cerebrale e trapianto di organi ( Morcelliana) sulla prima pagina dell’Osservatore Romano per provocare un maremoto. «Per i cattolici sono un pensatore non ortodosso. Per i laici sono un cattolico reazionario di merda». La riprova che ha violato il tabù dei tabù: ha messo in discussione il concetto di morte cerebrale introdotto nel 1968 dall’Ad Hoc Committee della Harvard Medical School. Il cosiddetto rapporto di Harvard utilizzato in tutto il mondo per giustificare il prelievo di organi da cadaveri col cuore che pulsa. Lo studioso si consola in famiglia: «Mia moglie, atea, anticrista e rifondarola, è d’accordo con me. Il mio secondogenito, 12 anni, ha detto: “Il cervello da solo non basta. Mi sembra che papà abbia ragione”». Di figli ne ha tre. Nessuno battezzato, come del resto la consorte. «Sceglieranno da soli quando saranno maggiorenni». Nel 1955 lui fu invece portato in fasce al sacro fonte dal padre, operaio dell’Italsider, e dalla madre, casalinga. «Sono un cattolico non praticante che va inchiesa a Natale e Pasqua o per matrimoni e funerali». Come dire: le risposte che sto per darle non c’entrano nulla con la fede.

Chi esce peggio dalla vicenda Englaro?
«I medici. Erano certamente autorizzati a fare ciò che hanno fatto. Ma il senso della loro professione è salvaguardare la vita. Il dottor Amato De Monte ha dichiarato: “Eluana è morta 17 anni fa”. Se per un medico una persona in stato vegetativo è morta, vuol dire che siamo messi veramente male».
Il capo dello Stato ha agito bene?
«Nel nostro ordinamento ha il compito formale di custode della Costituzione, quindi le sue osservazioni apparivano corrette. Ma è stato assolutamente irrituale anticiparle prima d’avere in mano il decreto del governo, che poteva controfirmare o respingere. E discutibile è anche l’aver definito “non ulteriormente impugnabile” un procedimento di volontaria giurisdizione. Non trattandosi di una sentenza passata in giudicato,come erroneamente si continua a ripetere, in realtà l’autorizzazionea sospendere l’idratazione e l’alimentazione a Eluana era revocabile».
Si possono togliere cibo e acqua a un paziente?
«Se vengono immessi nel corpo artificialmente, col sondino nasogastrico o con la gastrostomia endoscopica percutanea che richiede un piccolo intervento chirurgico, a mio avviso possono essere tolti, ma solo in presenza di una richiesta scritta da parte del paziente. Si tratta di trattamenti medici che un individuo ha il diritto di rifiutare. In questi casi una commissione etica indipendente dovrebbe valutare al letto del malato se la prosecuzione del trattamento di sostegno vitale non possa ormai essere considerata una forma di accanimento terapeutico».
Anche una trasfusione di sangue è rifiutabile?
«Certamente».
Ogni volta che un giudice ordina trasfusioni di sangue, per esempio a un testimone di Geova che le rifiuta, commette dunque un arbitrio?
«Sì. Diverso il caso del figlio minorenne di un testimone di Geova. Lì non è il diretto interessato a rifiutare il trattamento, bensì il genitore, e lo Stato ha il dovere di salvaguardare la vita altrui. Quella che non può essere mai sospesa è l’offerta di cibo e acqua per via orale, anche qualora il malato la rifiuti. Non sempre bisogna dar ragione al paziente».
La vita è un bene disponibile o indisponibile?
«Se un testimone di Geova può rifiutare una trasfusione, un malato di cancro la chemioterapia e un diabetico con la gamba in necrosi l’amputazione, significa che la vita in taluni casi è un bene disponibile. Indisponibile è ladignità umana. Ma su questo punto la discussione nel nostro Paese non è neppure cominciata, io stesso ci sto lavorando da poco. Se ne occupa solo la Chiesa cattolica».
Che cos’è la dignità umana?
«Ha un doppio volto: da un lato è qualcosa che inerisce all’essere umano, quindi che riceviamo in dote; dall’altro è qualcosa che ci conquistiamo col nostro vissuto. Ha un aspetto oggettivo e uno soggettivo: combinarli insieme è il problema fondamentale del nostro tempo».
Accettando che la vita sia un bene disponibile, si deve per coerenza consentire anche il suicidio. Allora perché, se io sto per buttarmi da un ponte, accorrete tutti per impedirmi di farlo?
«Il suicidio può essere discusso moralmente, criticato, ma sotto il profilo giuridico non costituisce più una fattispecie di reato, in nessuna parte del mondo».
Se non altro perché il reato si estingue con la morte del reo...
«Ma guardi che la depenalizzazione del suicidio è collocabile tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento. Prima erano previste vere e proprie sanzioni per il suicida, come la confisca generale o parziale del patrimonio e una sepoltura infamante. In Inghilterra le pene contro il cadavere furono abolite solo nel 1851. In precedenza il corpo del suicida veniva infilzato in un bastone, trascinato per le strade e sotterrato senza funerale in un luogo a caso. La confisca del patrimonio fu abrogata nel 1873».
Dare disposizioni circa la propria morte è un diritto individuale inalienabile?
«Fino a un certo punto. Una persona non può chiedere con disposizione scritta che un medico metta fine alla sua vita in determinate condizioni. E non perché la vita sia indisponibile, ma perché un medico non può proprio farlo, andrebbe contro la sua etica professionale».
Si fida dei medici?
«Nel complesso ho fiducia. La cosa più inaudita è che nelle facoltà di medicina non esista come materia la bioetica. Sa quante ore le vengono dedicate nell’intero corso di studi universitari? Due, o poco più».
Perché è contrario ai trapianti di organi?
«Non sono contrario. Ma credo che non si possano più giustificare in base alla definizione di morte cerebrale fissata quarant’anni fa dal rapporto di Harvard. Va detto chiaramente che il donatore è entrato in un processo di morte, ma non è ancora morto. Contesto una donazione che si basa su una falsità di comunicazione. In Italia io non donerei i miei organi. In Giapponesì: là viene spiegato al donatore che un paziente in morte cerebrale non è un cadavere».
Qui da noi invece vige da dieci anni la legge sul silenzio-assenso che ci trasformad’ufficio in donatori, salvo opposizione.
«Ma la regola del silenzio-assenso non vale, perché nessun ministro della Salute ha mai emanato il decreto che era previsto entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge. Questo significa che quella norma non è stata accettata, né dai cattolici né dai liberali, in quanto estromette la famiglia da ogni decisione, impedisce ai congiunti del morto cerebrale di dire l’ultima parola, di opporsi all’espianto anche in presenza di un atto di volontà del loro caro».
Una mia amica ha aderito all’Aido in giovane età e dopo 18 anni ha cambiato idea, ma s’è accorta che sul retro del documento associativo c’è scritto: «Questa tessera è sempre valida», in rosso e tutto maiuscolo. Quindi figurerà nel database del Sistema informativo trapianti fra 1.119.760 potenziali donatori fino a quando non le restituiranno l’atto olografo.
«Nel frattempo farebbe bene a conservare tra i documenti personali una dichiarazione scritta di proprio pugno e datata, in cui esprime il cambio di volontà».
Se lei finisse in dialisi rifiuterebbe un rene?
«Certo, lo rifiuterei in base al criterio di reciprocità. Dico di più: nelle liste d’attesa per i trapianti andrebbe data la precedenza a chi s’è dichiarato donatore».
E se una cardiopatia affliggesse uno dei suoi figli, si opporrebbe al trapianto di cuore?
«Non vedo perché un mio principio ideologico dovrebbe condizionare la loro vita».
Che cos’è accaduto dopo l’articolo sull’«Osservatore Romano»?
«Premesso che non conoscevo Lucetta Scaraffia, mai vista né sentita, ho notato che non s’è voluto parlare del mio libro. La Repubblica è stata divertentissima. Il primo giorno ha fatto intervenire Ignazio Marino, chirurgo trapiantista e senatore del Pd: “Atto irresponsabile”. Siccome il dibattito non si spegneva, il secondo giorno ha schierato un altro pezzo da 90, Umberto Veronesi: “I padroni della vita”. Il terzo giorno è sceso in campo il direttore Ezio Mauro: “La Chiesa e i precetti dei teocon”. Traduzione: adesso basta, mi sono rotto i coglioni. Fine del dibattito. Ha vinto lo stalinismo culturale del giornale che s’è incaricato di fare la politica dell’opposizione in Italia, il vero contropotere da quando la sinistra non è più al potere. Non a caso sono stato contattato da tutti i giornali, tranne che da Repubblica».
Chi sono gli scienziati che hanno messo in discussione il rapporto di Harvard?
«Basti citare i medici Robert Troug e James Fackler, che fin dal 1992 hanno dimostrato come i mezzi clinici impiegati per accertare la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo in realtà non siano in grado di farlo. Il neurologo Alan Shewmon ha documentato il caso di T.K., in stato di morte cerebrale dall’età di 4 anni per una meningite e tuttavia indubbiamente ancora vivo a 18 e mezzo: non aveva più alcuna funzione encefalica, eppure la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna aumentavano quando Shewmon gli pizzicava varie parti del corpo. Vuole un nome italiano? Il professor Carlo Alberto Defanti».
Il neurologo che si occupava di Eluana?
«Proprio lui. L’involontario responsabile della conversione credo d’essere stato io. Gli ho mandato in visione alcuni materiali tradotti in italiano per il mio libro Questioni mortali. Mi aspettavo una replica critica. Invece m’è arrivata un’autocritica. Ha ammesso“l’impossibilità di esplorare le funzioni di ampi settori del cervello nell’individuo in stato dicoma” e ha riconosciuto che la morte cerebrale“ non dimostra compiutamente l’assenza irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”. Ricordo, per inciso, che Eluana non era in morte cerebrale».
Ma lei ci crede sì o no, alla morte cerebrale?
«All’irreversibilità sì, alla morte dell’organismo no. Una donna in morte cerebrale può partorire. La controprova è offerta dagli stessi trapiantisti: usano gli organi dei pazienti in morte cerebrale proprio perché sono perfetti. Nel 1975, quando fu approvata in Italia la prima legge in materia, tenevano il malato attaccato al respiratore anche se non era candidato all’espianto. Adesso, se non sei donatore di organi, dopo sei ore te lo spengono. E te lo spengono anche se sei un bambino».
Come sarebbe a dire? Di che sta parlando?
«La legge del 1993, tuttora in vigore, stabilisce che il periodo di osservazione per l’accertamento della morte cerebrale debba essere di 24 ore per i bimbi fino a un anno di età e di 12 ore per quelli fino a 5 anni. Ma il ministro Livia Turco, due giorni prima delle elezioni politiche del 2008 che hanno mandato a casa il governo Prodi, ha emanato un nuovo regolamento che riduce a sole 6 ore questo periodo, come per gli adulti. Un atto scandaloso, perché nella gerarchia delle fonti un decreto ministeriale è sempre inferiore a una legge, non può stabilire qualcosa che sia in contrasto con la legge. Eppure è avvenuto, alla chetichella e nel disinteresse generale».
Perché la Chiesa ha accettato il criterio della morte cerebrale?
«Molto semplice: per non aprire il tema dell’eutanasia. Non solo la Chiesa, ma tutti noi, abbiamo risolto il problema con un colpo d’accetta. Se i morti cerebrali sono cadaveri, possiamo fare di loro quello che vogliamo. Fossero in una zona grigia, bisognerebbe discutere se e come lasciarli morire».
Ma nel catechismo non c’è traccia della morte cerebrale. L’allora cardinale Joseph Ratzinger cancellò di suo pugno l’aggettivo «cerebrale », sostituendolo con «reale».
«Questo significa che il Papa ha le mani legate. È sulle mie posizioni, ma non può dirlo».
E chi glielo impedirebbe?
«Consideri che il cardinale Dionigi Tettamanzi, molto influente nella Conferenza episcopale italiana, è un convinto trapiantista. Anzi, lui va persino oltre: è per la nazionalizzazione dei corpi, altro che volontà individuale! Donare, per l’arcivescovo di Milano, è un dovere sociale, non c’è bisogno di consenso, perciò lo Stato si pigli i cadaveri e non se ne parli più. E infatti l’unico giornale che non ha presentato il mio libro sui trapianti è stato Avvenire, l’organo della Cei».
Che cosa pensano di lei in ambiente universitario?
«Che sono irrecuperabile».
Stefano Lorenzetto
(440. Continua)
stefano.

lorenzetto@ilgiornale.it

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