Un filosofo senza dogmi né peli sulla penna

In «La morale come pazzia» lo studioso smontò le diverse teorie sull’etica, compresa quella di Kant

Il filosofo Giuseppe Rensi (1871-1941) somiglia per molti versi al suo quasi coetaneo Piero Martinetti (1872-1943). Hanno tante cose in comune, perfino nelle vicissitudini personali, e suonano più o meno sullo stesso registro. Tutti e due dovettero abbandonare la cattedra, perché non erano in sintonia con il fascismo, e tutti e due ebbero una concezione aristocratica della cultura. Non basta: ad accomunarli c’è anche il loro modo di scrivere chiaro e privo di quegli orribili accozzi di parole vuote che caratterizzano la filosofia moderna. Leggendoli, non capita mai di dover pensare al proverbio che dice: «Si sente il rumore del mulino, ma non si vede la farina». Qui la farina c’è e anche di ottima qualità.
Alla morte di Rensi, avvenuta a Genova, il suo compare spirituale Martinetti dichiarò: «Egli è senz’alcun dubbio il solo dei filosofi italiani che meriti di sopravvivere e di restare nella storia». La stessa cosa avrebbe potuto dire Rensi di Martinetti. Ma l’Italia, paese di ciarlatani e di magliari, soprattutto in campo filosofico, non sa che farsene di due teste illuminate come Rensi e Martinetti. Perciò li ha dimenticati o insegretiti. La morale come pazzia, di cui pubblichiamo alcuni brani nella pagina, venne alla luce postuma, nel 1942. Ora viene ripubblicata da una piccola casa editrice di Calabritto, in provincia di Avellino, Mattia&Fortunato Editori, presente da venerdì a domenica a «Tracce d’inchiostro», mostra mercato salernitana (di cui si parla nell’articolo sotto). Santi Numi, possibile che non ci fosse un editore più noto per un testo del genere, dove si affrontano problemi fondamentali come la morale e il libero arbitrio? Purtroppo è così! Si direbbe che i grandi editori non abbiano interesse per l’alta cultura, forse perché devono star dietro alle merdicine romanzate e ai best seller. Mi ci è voluta la mano del cielo per far ripubblicare il Breviario spirituale di Martinetti. Ci sono riuscito solo quando l’ho proposto all’ottimo Luca Terzolo della Utet Libreria, il quale ha subito fiutato che si trattava di uno dei libri più belli della letteratura moderna.
Ma parliamo di Rensi, la cui opera si potrebbe riassumere, in due parole, così: predicare la morale è facile, ma fondarla è difficile. Infatti egli scettico e antidogmatico, smonta le diverse teorie sull’etica, compresa quella di Kant. E sferra anche un duro attacco a Hegel e al suo folle principio che ciò «che è razionale e reale e ciò che è reale è razionale». Provatevi a trarre le conseguenze da un simile principio e vi si rizzeranno i capelli. Giustamente Rensi, che sapeva pensare meglio, rovescia quella frase, che io definirei di andata e ritorno, e dice: «Tutto ciò che è reale è irrazionale, tutto ciò che è razionale è irreale». Di qui si capisce facilmente il motivo del suo aspro dissidio con Benedetto Croce, l’importatore all’ingrosso della hegelianeria in Italia.
Per Rensi la morale non è un prodotto del sapere o della conoscenza, bensì dell’intuizione. È un impulso, un raptus, un eroico furore, per dirla con Giordano Bruno.

Un impulso assolutamente irragionato e propriamente «pazzo». Di qui il titolo del libro. Insomma, la morale è una qualità innata e chi la possiede non può agire diversamente da come agisce. La virtù programmata non serve a niente. Il resto lo lascio al lettore.

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