Si chiude con condanne esemplari il tentativo dell’ex governatore di Banca d’Italia, Antonio Fazio, di mantenere in mani italiane due nostre storiche banche, la Bnl e Antonveneta. Tanto esemplare che i giudici accettano la ricostruzione secondo la quale i venditori delle azioni Bnl partecipino al reato degli acquirenti «scalatori». La storia è presto riassunta. La banca romana era oggetto del desiderio degli spagnoli del Bbva. Fazio, con la complicità di una pattuglia di azionisti della banca sotto scalata e banchieri intraprendenti, aveva cercato di alzare una diga con una scalata alternativa: per far sì che si creasse un gruppo bancassicurativo in mano alla bolognese Unipol. Incidentalmente conviene notare che il motore dell’operazione fosse molto rosso: le ex cooperative comuniste che controllavano l’Unipol e alcuni politici di loro riferimento, come Fassino e D’Alema. Alla fine della storia Fazio e i suoi non raggiungono il risultato sperato e la Bnl, ironia della sorte, finisce comunque all’estero: in casa Bnp-Paribas.
Luca Fazzo, spiega bene tutti i dettagli della storia, delle risultanze processuali e del coinvolgimento degli ex comunisti.
Qui conviene soffermarsi su un aspetto che ovviamente non riguarda i giudici di Milano. E cioè quello delle banche e del loro controllo. Insomma facciamola semplice.
Solo un paio di anni dopo il caso Bnl e Antonveneta, i governatori centrali di tutte le banche del mondo hanno messo in piedi operazioni che farebbero sorridere i tentativi di Fazio. Quando in un fine settimana si è deciso a New York chi salvare tra Bank of America, Merrill Lynch e poi a seguire Goldman Sachs e un’altra decina di istituzioni finanziarie americane, non si è andati molto per il sottile. Il mondo finanziario era morto: e toccava fare in fretta e senza regole. Uno degli artefici di quelle spericolate (nel senso di rischiose) operazioni è oggi ministro del Tesoro di Obama. Non molto diverso è stato il comportamento europeo: sia in Inghilterra (dove fu di fatto nazionalizzato l’intero sistema bancario) e nell’Europa continentale. Con un’unica, sola eccezione: l’Italia. Nessuna delle nostre banche è saltata per la crisi del 2008. In pochissime hanno utilizzato lo strumento dei Tremonti Bond per rafforzarsi (e comunque non lo hanno fatto le nostre reginette). Ebbene non siamo qui a giustificare Fazio. Ci sono due piani diversi: quello giudiziario e quello storico. Chi viola le regole deve pagare, è chiaro. Dal punto di vista sostanziale il sistema creditizio ereditato, anche dalla gestione Fazio, ha retto la crisi finanziaria più grave dalla fine della seconda guerra mondiale. Certo gli strumenti sono stati all’italiana: un reticolo di relazioni e di decisioni prese dall’alto. La protezione dalla concorrenza del nostro sistema creditizio. La decisione burocratica e non di mercato nella gestione e nel passaggio dei diritti di proprietà.
Quando pochi mesi fa Parmalat subì la scalata dei francesi, il governo italiano per bocca del suo ministro del Tesoro cercò di tirare su una diga all’invasione dello straniero. Fece un decreto, di fretta e furia, per dilatare i termini delle assemblee. Inviò ispezioni della Finanza. La partita si chiuse a favore dei francesi. Altrettanta moral suasion è stata adottata per la scalata, sempre francese, all’Edison.
Non si vuole giustificare l’intervento dello Stato negli affari dell’economia.
Esperienza insegna che ha storicamente provocato più danni che benefici. Si vuole semplicemente dire che la sentenza di ieri, letta con gli occhi di oggi, racconta un mondo lontano anni luce.
I giudici applicano le leggi. Gli economisti si innamorano dei loro modelli e schemi mentali.
Fazio paga anche per un clima di ortodossia delle regole di mercato (che chi scrive continua ad apprezzare) che oggi è stato abbondantemente dimenticato. Todos
caballeros . Todos Fazio.
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