LEnciclica di Papa Benedetto esprime il linguaggio del nuovo Pontefice in modo significativo: e si può dire che esso è un linguaggio mistico, cioè ha per centro l'amore di Dio per l'uomo comunicato all'uomo come amore dell'uomo per Dio. Essa perciò comporta una antropologia e una teologia, cioè un discorso su cosa è l'amore per l'uomo in Dio e l'amore dell'uomo in sé. L'uomo è in sé una potenza di eros, che il testo papale vede come una tendenza al superamento di se stesso nel rapporto con l'altro, ma anche come dominio e possesso dell'altro in funzione di sé. Qui vi è certo l'eco del concetto cristiano di peccato originale, ma anche quello di una natura umana che rimane tale nonostante il peccato. E può trovare la perfezione dell'eros nell'amore dell'altro in quanto altro, cioè non nel possesso e nel dominio di lui. Potenza ambigua, l'eros è il dramma della storia umana perché esso è anche alla base dei disegni di potenza collettiva, di inclusione del singolo in una comunità totale, del dominio dell'uomo sull'uomo oltre ogni limite.
L'eros si autogiustifica con la stessa potenza del desiderio, dà all'uomo un orizzonte di senso e di significato. L'amore di Dio per l'uomo è come andare oltre la sua figura stessa di Dio della potenza e della creazione, che crea un mondo per la sua gloria. L'annuncio biblico è quello di un Dio che si curva sull'uomo e diviene egli stesso uomo andando oltre la sua stessa figura di creatore e di signore dell'universo. Nel Cristo Dio dona all'uomo la capacità di amare come Dio ama: di amare Dio per amore di Dio e di amare gli altri per l'amore degli altri. Questa è la chiave dottrinale dell'Enciclica in cui l'elemento centrale è che la perfezione dell'uomo è vista nell'accoglimento del puro amore. Ciò è a un tempo partecipazione alla natura divina e superamento del compimento della natura umana, e della sua potenza erotica di autotrascendimento di se stesso nell'altro in ogni forma. Solo ricevendo la vita divina, la carità divina, che il linguaggio cristiano ha espresso con la parola agape, ricevuta dalla traduzione greca della Bibbia ebraica e che è parola di contenuto indefinibile, perché rivela a un tempo l'essenza di Dio e la partecipazione dell'uomo ad essa. Come valutare le conseguenze di un discorso che riconduce il linguaggio al mistero cristiano e in cui è la qualità interiore dell'amore comunicato da Cristo al cristiano a determinare la figura del cristiano e l'essenza della Chiesa? Il Papa non guarda la Chiesa nel mondo storico, per la prima volta la storia non è oggetto di una Enciclica dottrinale, si potrebbe dire che nel pensiero papale è giunta la fine della storia e che l'uomo è colto nella sua essenza interiore e nella sua realtà perenne, di là di ogni contingenza immediata. L'Enciclica guarda al tempo oltre il tempo, vede a un tempo la concretezza radicale del reale e l'universalità del rapporto di Dio e dell'uomo ogni pezzo di realtà completa dove esiste l'umano, là vivono la domanda di potenza dell'uomo per l'altro e sull'altro e la vita divina offerta misteriosamente a ogni uomo.
Il Papa scende poi con sguardo concreto sugli impegni caritativi della Chiesa dei cristiani sia a livello organizzativo di comunione sia a livello personale. Ma in essi non guarda l'opera come tale, ma l'interiorità che l'anima, la qualità dell'amore che lo conduce. Non può ridursi questa enciclica a una teologia della prassi ecclesiale, perché essa è un documento di una Chiesa interiore, che cerca di esprimere nella concretezza del quotidiano la pienezza dell'amor divino nella donazione umana.
Un Papa della spiritualità della Chiesa, questo è Papa Benedetto come lo rivela la sua prima Enciclica.
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