Fini battezza il suo partito ma salva le apparenze: «Non faremo imboscate»

RomaFini prepara lo strappo ma giura fedeltà al governo. Lavora alla scissione ma dice che non se ne va. Pensa al post Berlusconi allargato ma assicura di non credere alle «marmellate politiche». Insomma, la strategia del presidente della Camera, nella sua ambiguità, è chiara: minare il Pdl dall’interno, logorando il più possibile il Cavaliere. Step by step. Tra i due è guerra di nervi, guerra fredda, conflitto senza sparare un colpo. E come in tutti i conflitti latenti c’è pure la corsa agli armamenti. L’ultima mossa di Fini, dopo il gran rifiuto di un incontro con Berlusconi due giorni fa, è stata quella di ufficializzare le sue truppe, riunite sotto il vessillo di «Generazione Italia». Un vero e proprio partito nel partito, strutturato territorialmente. Ieri è stato varato il comitato, composto da 31 parlamentari e 4 eurodeputati, che ha prontamente nominato i responsabili regionali, pronti ad acquisire militanti e fare il controcanto al premier anche in periferia. Sul sito internet di Generazione Italia compare l’elenco dei nomi. Tra i primi i deputati Luca Barbareschi, Italo Bocchino, Benedetto della Vedova, Roberto Menia, Mirko Tremaglia e Adolfo Urso. La pattuglia europea è composta da Cristiana Muscardini, Enzo Rivellini, Potito Salatto e Salvatore Tatarella. Uno strappo? Per ora uno strappino. Fini a Castiglion Fiorentino promette: «Chi pensa che questo gruppo di parlamentari voglia far cadere il governo o tendere imboscate non ha capito assolutamente niente». Non è uno sfascista. Questo è un concetto che continua a ripetere tutti i giorni, ora dopo ora. L’obiettivo è far capire al mondo che non è un traditore, non è uno che trama, non strappa, non se ne va. Insomma, il solito Fini delle buone intenzioni.
Fini sostiene che quello che teme nel Pdl è la palude. «In un grande partito del 35 per cento tutti coloro che hanno volontà di porre questioni, aprire dibattiti, tutti coloro che cercano di mettere il sale nella minestra, tutti quelli che dicono che è giusto fare una cosa ma magari cercano di farlo meglio vanno ringraziati, non contestati». Il messaggio non ha bisogno di interpretazioni. I finiani sono il sale, gli altri la palude. E quando fanno notare al presidente della Camera che i vertici provinciali del Pdl hanno disertato l’incontro, lui, Fini, risponde sorridendo: «Non sanno cosa si sono persi». Ma Castiglion Fiorentino non è solo una conta, l’inizio di una corrente che sa di partito, un passo sul territorio: è una sfida politica.
Fini sconquassa l’idea federalista della Lega. Non la Padania, non le macroregioni, ma gli antichi comuni. «La prima vera identità è municipale. In molti casi le Regioni sono entità di tipo burocratico, mentre quelle più vicine al sentire del cittadino sono i Comuni». Non è una polemica con il Carroccio, ma un modo per marcare le differenze. Parla di «Lega strategica», ma il Pdl spesso si appiattisce troppo sulle sue posizioni. «Ne diventa una fotocopia».
Eccolo allora il Fini in cerca di visibilità. L’università di Pisa lo ha invitato e lui ne approfitta. Parla dei magistrati non politicizzati: «Sono da elogiare». E gioca duro con il gruppo di studenti che contesta. «So che sono in corso delle proteste per la mia presenza in questa università. Così ho deciso di dare ai miei avversari un motivo in più: rivoterei la legge sull’immigrazione che porta la mia firma, insieme a quella di Umberto Bossi». Anche se con due modifiche che di sicuro non piacerebbero alla Lega Nord: vista la grave crisi in atto, estendere da sei mesi a un anno il tempo concesso agli immigrati per trovare lavoro e rimanere da regolari in Italia; mandare la Guardia di finanza nelle aziende degli imprenditori italiani che «non firmano i contratti di lavoro agli extracomunitari solo per sfruttarli meglio».
La scelta di Fini è quella di muoversi lungo le linee di confine. È lì che può costruire il suo futuro politico. Non lascia Berlusconi, ma nel frattempo costruisce una nuova casa. L’opposizione lo chiama ma lui chiude le porte. Non può permettersi un ribaltone. Il popolo del Pd si rassegni.

Fini chiude così: «Non credo alle marmellate politiche nelle quali alla fine tutti i sapori si confondono».
La scommessa di Gianfranco è tutta qui. Né con Berlusconi né con gli antiberlusconiani. La vera professione di Fini è fondare partiti.

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