Fini: "Non divorzio, ma voglio rispetto" Berlusconi: basta boicottaggi. O io o lui

Il presidente della Camera da Vespa esclude le elezioni: "Il solo ipotizzare il voto è irresponsabile". Ma dà un altro aut aut: "Il premier deve rispettare le mie idee". Berlusconi: si dice leale ma vuol colpire la maggioranza per puntare a un governo tecnico. Muro contro muro anche sul caso Bocchino, il premier deciso a non respingere le dimissioni

Fini: "Non divorzio, ma voglio rispetto" 
Berlusconi: basta boicottaggi. O io o lui

Roma - Quando gli hanno detto che Fini ha appena deciso l’inammissibilità di ben 46 emendamenti al dl sugli incentivi, Berlusconi si limita a scuotere il capo. Si comincia. E anche Confindustria, che ad alcune di quelle modifiche teneva molto, se ne farà una ragione. D’altra parte, ragiona il Cavaliere nelle numerose riunioni che si susseguono a Palazzo Grazioli, sul fatto che dietro le ripetute dichiarazioni di fedeltà al governo ci fosse l’intenzione di «boicottare» la maggioranza ad ogni occasione il premier aveva pochi dubbi. Ed è per questo che a più di un interlocutore Berlusconi ripete lo stesso concetto: o io o lui. Insomma, è il senso delle sue parole, o il presidente della Camera dimostra con i fatti di essere davvero leale e affidabile oppure si chiama fuori perché al momento la sua linea è incompatibile con i ruoli che ricopre. Alternative non ce ne sono e su questo Berlusconi è categorico. Non è un caso che nonostante il lavorio dei pontieri si andrà fino in fondo anche sul caso Bocchino. Da tempo, infatti, il Cavaliere non sopporta più i continui distinguo del colonnello finiano, tanto da aver detto chiaro e tondo di non volerlo mai più vedere. E visto che le dimissioni da vicecapogruppo vicario del Pdl alla Camera le ha presentate lui non si vede perché gli si debba venire incontro e rimandare la lettera al mittente. Significherebbe «legittimare il suo comportamento».

Muro contro muro, dunque. Perché ormai il rapporto - politico e personale - è irrecuperabile. Con i gattopardi della prima Repubblica e con chi sa solo ripetere che fa politica da prima di me - è il senso del discorsi del premier - non voglio avere nulla a che fare. Di quale siano gli obiettivi del presidente della Camera, Berlusconi non parla. Ma, non è un mistero, la sua convinzione è che punti a un governo tecnico. Argomento che l’ex leader di An affronta in una chiacchierata a quattr’occhi con il presidente dell’Udc Vietti. Se il Cavaliere vuole la guerra - dice Fini - allora sarà totale, anche perché Napolitano non scioglierà mai le Camere senza dare prima un altro reincarico. E anche se il nuovo governo non avrà la fiducia - insiste - resterà comunque in carica per gli affari correnti, lasciando Berlusconi senza lo scudo del legittimo impedimento. Distanze, insomma, ancora più siderali di una settimana fa.

Il premier, però, continua a ripetere di voler tirare dritto. In primo luogo con le riforme. «Le vuole il capo dello Stato - ragiona con i suoi Berlusconi - e anche nel Pd sono in molti ad aver capito». A parte Bersani, ironizza il Cavaliere citando il fuoco amico che ha colpito il segretario del Pd dopo che si era mostrato scettico alle aperture del Pdl. Ed è proprio con il Quirinale che il premier punta a rinsaldare un vero e proprio asse per le riforme. Un’intesa che al momento sembra funzionare se Napolitano ha prima citato il discorso di Onna di un anno fa nel suo intervento per il 25 aprile e ha poi bacchettato i magistrati. Così, anche Berlusconi lancia eloquenti segnali di distensione visto che dalle sue conversazioni, anche quelle private, ha cassato l’espressione «elezioni anticipate». Uno schema che mette in crisi Fini che vede decisamente depotenziato il suo ruolo di terza carica dello Stato. Ma - è il senso dei ragionamenti del Cavaliere - è chiaro che se avviamo una stagione riformatrice l’interlocutore del Quirinale non può che essere il presidente del Consiglio.

Una lunga giornata, quella di Berlusconi. Nella quale affronta anche il capitolo Giornale durante un faccia a faccia con il fratello Paolo e i nodi Sicilia (con Nania) e Sardegna (con Cappellacci, Testoni e Cicu). Del primo, a parte la pubblica solidarietà a Fini, non sembra preoccuparsi troppo.

Perché, dice ai suoi, non posso passare la vita a ripetere che non c’entro. Più complesso il caso siciliano Lombardo, anche se a Nania dice chiaro che «non sono possibili commistioni tra chi ha vinto e chi ha perso le elezioni».

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