Fini non incontrerà l’ambasciatore

da Roma

Parla dell’amore e di Gesù e poi attacca l’azione «criminale» dei «sionisti». Sorride per la traduzione che non parte («the technology...»), ha un velo nello sguardo quando ricorda l’imam Khomeini, e poi gli occhi gli s’infiammano mentre parla degli Usa e lancia l’anatema: «Dov’è il diavolo?».
Isolato dagli altri grandi, ma furbissimo, affabile con la stampa, Mahmoud Ahmadinejad ha lasciato dopo il suo passaggio più dubbi di quanti non aveva creato prima di venire a Roma, ospite che nessuno voleva eppure star alla Fao: capace di parlare del suo Paese come di una nazione che «non discrimina», mentre un giornalista iraniano contrario al suo regime è rimasto fuori dal palazzo della conferenza perché persona «non grata»; e di tuonare contro Israele («sparirà, non è una minaccia ma una notizia»), e anche contro l’Onu, o meglio contro le «volontà e motivazioni talora diaboliche» con cui le grandi potenze strumentalizzano le Nazioni Unite.
Ha citato più di dieci volte le parole «amore, misericordia, pace e giustizia», Ahmadinejad nel suo intervento davanti ai giornalisti, ma quando le domande si sono fatte fitte ha tuonato: «Il mondo è guidato da incompetenti. Secondo me il presidente Bush sta pensando a un nuovo attacco militare contro l’Iran». Addirittura ha chiesto di evitare la passerella delle telecamere sul tappeto rosso (o l’hanno tenuto lontano?) per raggiungere il ristorante. Un iraniano che ha viaggiato con lui da Teheran in aereo racconta: «Il presidente ci ha detto che gli piace molto Roma»: il circo Massimo, le terme di Caracalla. Doveva passare in albergo prima di parlare, poi ha cambiato idea. Voleva annullare la conferenza stampa, poi è stata confermata. «Ci ha fatti impazzire», rivelava un militare addetto alla sicurezza dei capi di Stato.
L’intervento, appunto. Dicono che sia rimasto male, il presidente iraniano, di essere stato infilato alla fine della sessione mattutina, alle 13,30, quando qualcuno dei delegati aveva lasciato già la sala per il pranzo. Un trattamento simile, ma capovolto, è toccato all’altro «impresentabile» del vertice, il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe: primo a parlare dopo la pausa del lunch, alle 15.30. «Le sanzioni economiche contro lo Zimbabwe sono illegali. Ci hanno tagliato tutta l’assistenza allo sviluppo», ha sparato Mugabe, presidente di un Paese allo stremo, con una disoccupazione all’80% e un’inflazione al 1500%. Eppure la sera prima il dittatore che per la prima volta ha paura di perdere le elezioni dopo 21 anni, ha pernottato in un albergo a cinque stelle di via Veneto con suite tra i 600 e i 900 euro. E la sua delegazione era così numerosa da muoversi in pullman.
Ahmadinejad invece è ripartito alle 22, mentre in Campidoglio una manifestazione trasversalissima (dai radicali, al sindaco Alemanno con il ministro Ronchi, fino a esponenti del Pd) lo contestava chiedendo un «Iran libero». Ma Ahmadinejad il detestato, l’uomo che loda Cristo «la pace sia con lui» e che considera la sparizione di Israele «un’analisi», che si verificherà «nell’interesse stesso del popolo europeo», alla Fao ieri c’era. Mentre è stato allontanato un giornalista iraniano di Adnkronos International, Ahmad Rafat. «Uno degli addetti alla sicurezza della Fao - ha scritto l’agenzia - ha rivelato che tale decisione sarebbe stata presa su pressioni della rappresentanza iraniana».

È stato il «pacifico» Ahmadinejad a volerlo? Il ministro degli Esteri Frattini ha chiesto all’ambasciatore italiano di acquisire «tutti gli elementi», mentre il governo italiano ha preso le distanze: gli accrediti sono «di esclusiva competenza della Fao». La Fao dovrà risponderne.

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