Fini: "Resto nel Pdl, azzeriamo tutto" E Berlusconi: è fuori, se serve si rivota

Il presidente della Camera tende la mano a Silvio sul Foglio: "Basta con i risentimenti, onoriamo l’impegno con gli italiani". E spiega: "Una mattanza non avrebbe vincitori". Ma il premier: "Troveremo una soluzione, ho i numeri per andare avanti". Si lavora a un documento contro gli ultras finiani che hanno tradito il Pdl

Fini: "Resto nel Pdl, azzeriamo tutto" 
E Berlusconi: è fuori, se serve si rivota

Roma - «Resettare tutto senza risentimenti». Sembra uno scherzo o un gioco di parole, invece è il calembour con cui Gianfranco Fini prova, all’ultimo momento, a suturare lo strappo con il Cavaliere. O forse, chissà, magari il tempo è già scaduto e vuole solo lasciargli il classico cerino acceso, la responsabilità della rottura del Pdl.

Resettare dunque, dice il presidente della Camera in un colloquio con il Foglio: «Significa che Berlusconi ed io non abbiamo il dovere di essere o sembrare amici, ma di onorare l’impegno politico e elettorale preso con gli italiani». Per farlo, «ci tocca il compito, in nome di una storia comune non banale, di mettere da parte carattere ed orgoglio, di eliminare le impuntature e qualche atteggiamento gladiatorio delle tifoserie». Un passo indietro, propone Fini. «È l’unica strada per evitare che una deflagrazione senza senso si porti via, tra le macerie di un partito e di un governo, la credibilità del centrodestra nel cuore di quanti ci hanno conferito il mandato di rappresentarli». Uno scontro sarebbe «una mattanza senza vinti né vincitori». E ancora: «Quando dico che si deve chiudere una pagina conflittuale e aprirne una nuova, non faccio appello ai sentimenti, ma alla ragione e all’analisi politica».

Fin qui le dichiarazioni di buona volontà. Poi però c’è una posizione da difendere, un punto da tenere: non mi dimetto, dice, e nessuno mi caccerà dal Pdl. «Ho radici e appartenenza culturali e politiche chiare. Qui sto e qui resto, in ogni senso, in quello dello schieramento e delle idee portanti». E c’è una bandiera da sventolare, la legalità. «Ma non è in conflitto con il garantismo. La mia solidarietà con chi è colpito dalla gogna mediatica è di antica data». Il presidente della Camera se la prende pure con il Giornale: «A Napoli ho parlato della stranezza del comportamento di un sottosegretario che si dimette senza dimettersi pure da coordinatore regionale e il giorno dopo sul giornale di famiglia ho letto che avevo chiesto la testa di Silvio Berlusconi. Certo che se poi gli ultras, sempre nemici di ogni compromesso politico, riportano al capo che io voglio fare un repulisti giustizialista, allora prevale la logica degli anatemi».

Difficile capire adesso se la mozione degli affetti basterà a placare l’ira berlusconiana e a resettare i rapporti. Sicuramente sono i finiani a dover resettare in corsa parole, musica e atteggiamenti. Sicuri e a petto in fuori tutto il giorno, dopo le parole di Fini occorre cambiare linea: via l’orgoglio e sotto con la diplomazia. Ne fanno le spese Granata e Briguglio, che alle 20 commentano con sarcasmo le dichiarazioni del premier sulle intecettazioni: «Se davvero rititerà la legge, sarà una nostra vittoria. Ma noi avevamo imposto le correzioni ed eravamo pronti a votarlo». Salvo essere clamorosamente smentiti un’ora e mezzo dopo dall’altro duo finiano Moffa-Menia: «Non è accettabile che basti un’ipotesi avanzata da Berlusconi circa un possibile ritiro del ddl per dare la stura a valutazione affrettate e a cantare vittoria. È giunta l’ora che i protagonisti dell’eccesso verbale tacciano e diano ai leader la possibilità di chiarirsi». Dovevano spiegarlo anche ad Adolfo Urso, viceministro dello Sviluppo, che nel pomeriggio ci scherzava sopra: «Sta preparando un documento? Bene, faccia pure.

Tanto Napolitano questo non glielo firma», e giù risate tra gli ex di An, che facevano mucchio in Transatlantico prima di votare la fiducia alla manovra. E che dire di Antonio Briguglio, sottosegretario all’Agricoltura, a rischio di revoca delle deleghe ministeriali? «Chi vogliono cacciare, oltre me? Bocchino e Granata? Non ditelo a Raisi, se non ci resta male».

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