Politica

Fini tenta l'autocandidatura: "Sono l'usato sicuro"

La proposta del presidente della Camera: "Non serve un governicchio ma delle larghe intese". E non rinuncia a insultare il premier: "E' un burattino". Su Renzi: "Un fenomeno di panna montata"

Roma - Arrivato al culmine della pro­p­ria irritazione nei confronti del mini­stro Tremonti, raccontano, Silvio Ber­lusconi avrebbe esclamato: «Basta, non ci sopportiamo più. Giulio è peg­gio di Fini». Andiamoci piano: la «be­stia nera» del Pdl dall’epoca del «che fai mi cacci» non ci sta a perdere un pri­mato così faticosamente raggiunto. A Cesare quel che è di Cesare, a Gian­franco quel che spetta a Gianfranco.

Fini contrattacca. Il presidente del­la Camera visto ieri di buon mattino sugli schermi della trasmissione «Agorà» sembra in ottima condizione di forma, capace di sovvertire qualsia­si pronostico e di smentire persino chi pensasse che è in momenti come que­sti che si vede la caratura istituziona­le. Avendo annusato aria elettorale ­anzi, convinto che «Berlusconi ha già deciso che si vota a febbraio-marzo, con questa legge» - il capo dei Futuri­sti non si fa rubare la scena da nessu­no, Casini e Rutelli in primis. «È un’anomalia che un leader politico sia anche presidente della Camera», ammette, ma soltanto per dichiararsi in buona compagnia. Anomalo è an­che «un ministro che giura fedeltà alla Costituzione e si comporta come Bos­si » e «un presidente del Consiglio che un giorno sì e l’altro no attacca la magi­­stratura, un organo istituzionale».

Così autolegittimatosi, Fini del bon­ton istituzionale non sa che farsene. Boccia il piano economico partorito dal Consiglio dei ministri, «un topoli­no », e attacca frontalmente il suo ne­mico pubblico numero uno. Berlusco­ni «è diventato il burattino principa­le » del teatrino politico italiano, dice, e la colpa di non aver varato un decre­to «non è del Quirinale», bensì del fat­to che «Berlusconi difende i suoi inte­ressi e capisco anche il suo imbaraz­zo... ». È «incapace di governare», am­micca il numero uno del Fli, e il proble­ma cardine «non è tanto la bontà della medicina quanto la credibilità del me­dico, cioé del presidente del Consi­glio ». Altri sicuramente farebbero me­glio? «No, questo governo fa peggio di qualsiasi altro». Corollario: il Cavalie­re «faccia un passo a lato», capendo che «serve un governo delle larghe in­­tese, non un governicchio».

Avendo liquidato l’esecutivo dal pulpito di terza carica dello Stato, il Fi­ni televisivo è già in campagna eletto­rale. Non viene risparmiata neppure la neonata meteora Matteo Renzi, del Pd, che alcuni osservatori vedrebbero capace di erodere consensi anche tra l’elettorato di Futuro e libertà: «Il ri­schio che sia un fenomeno, come di­re, di panna montata c’è»,storce il na­so il presidente della Camera. Nessu­na alleanza possibile neppure con la Lega:«Se pensa di rispolverare la ban­diera della secessione tra noi e loro c’è un abisso, totale incomunicabilità e impossibilità di sedersi a un tavolo». E niente primarie neppure per il Terzo Polo, verso il quale il cammino è anco­ra lungo: «Non può essere l’alleanza tra soggetti politici che devono salva­re se stessi: alle elezioni andremo da soli», promette Fini, che deve sentir correre sulla schiena ancora una volta il brivido caldo di una speranzella: ra­cimolare voti tra i delusi del Pdl. E ga­rantisce il massimo: «Io sono l’usato si­curo ». Una cara, vecchia pantofola da ritrovare sotto il comodino, dopo 16 anni di servizio (onorato o meno).

Alla disinvoltura della terza carica dello Stato non è immune il fascino perfido della vendetta.

Quello di una frase sibillina, che suona come una mi­naccia: «Berlusconi ha nelle sue mani le sorti dell’Italia dei prossimi mesi, ma anche del suo personale futuro». Che fa, lo caccia? RS

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