Roma - Non è pura tattica dissuasiva, né soltanto un bluff per allontanare lo spettro di elezioni anticipate, che coglierebbero ancora in culla la creatura finiana: no, dietro quell’avvertimento lanciato ieri dal capogruppo di Fli Italo Bocchino («Se qualcuno cerca il pretesto per andare a votare sappia che esiste già una maggioranza alternativa, tanto alla Camera quanto al Senato, in grado di ritrovarsi sulla legge elettorale») c’è un alacre lavorìo, in corso già da settimane, che vede uniti Gianfranco Fini, Pier Ferdinando Casini e i principali dirigenti del Pd.
Il messaggio di Bocchino è stato ieri prontamente raccolto dal segretario democratico Pierluigi Bersani: «Se c’è una maggioranza che dice che la legge elettorale è intollerabile, allora sarà il Parlamento a decidere sulla modifica delle regole». E dialogo e accordi trasversali tra attuale maggioranza e opposizioni sono legittimi, sottolinea Bersani, perché «sulle regole non si stabilisce una maggioranza di governo, ma una maggioranza parlamentare».
Che potenzialmente, come ha dimostrato il voto di fiducia della settimana scorsa, a Montecitorio già c’è, visto che senza i finiani il centrodestra è minoranza. Assai più complicata la situazione al Senato, dove invece il voto sulle dichiarazioni del premier ha dimostrato la «autosufficienza» di Pdl e Lega: ma per quanto? Dalla stessa maggioranza, a Palazzo Madama, si insinua il dubbio che i numeri siano destinati a restare fermi, e si definiscono «significative» dichiarazioni come quelle di Beppe Pisanu («Chi parla di voto anticipato scherza col fuoco, nessun interesse particolare potrebbe giustificare un simile disastro»), interpretate come un chiaro avvertimento: in caso di crisi, il senatore - e con lui altri due o tre esponenti del centrodestra, secondo il tam tam - sarebbe pronto a sostenere eventuali governi tecnici per evitare le elezioni in primavera.
I contatti sono in corso, l’obiettivo di Pd, Udc e Fli è comune: superare il famigerato Porcellum e costruire un nuovo sistema elettorale che archivi il quindicennio berlusconiano. «Si sta ragionando per arrivare al più presto a un’intesa di massima con Udc e finiani», conferma un esponente di primo piano del Pd, che non vuole essere citato, «in modo da incardinare subito in commissione alla Camera la discussione sulla legge elettorale». Solo due giorni fa Casini e il capogruppo Pd Dario Franceschini hanno chiesto formalmente al presidente della Camera di sollecitare la commissione Affari Costituzionali perché avvii il dibattito: una mossa concordata per accelerare il processo e per dimostrare a Berlusconi e alla Lega che si fa sul serio.
Anche se, ammette lo stesso esponente Pd, «il punto di intesa è ancora lontano: Casini vuole l’eliminazione del premio di maggioranza e un proporzionale con sbarramento alto che lasci mani libere sulle coalizioni; Fini ha aperto ampiamente sul proporzionale, per potersi sganciare dal Pdl, ma con un quorum più basso». Quanto al Pd, sul tedesco ci sta, «ma vogliamo che le coalizioni siano dichiarate prima del voto». Un po’ per costringere Casini a legarsi al centrosinistra, un po’ per non spaccarsi al proprio interno: i veltroniani sono pronti a dar battaglia per difendere strenuamente il bipolarismo. E Tonino Di Pietro? L’ex pm, in cuor suo, vorrebbe boicottare un’eventuale intesa Fini-Casini-Bersani e andare in fretta al voto, con un sistema che costringa Fini (concorrenziale per lui in termini elettorali) a restare col Cavaliere.
Ma «non può permettersi di apparire il miglior alleato di Berlusconi», e dunque - sperano nel Pd - alla fine dovrà fare buon viso a cattivo gioco. E ieri anche la Sinistra ha tolto il veto al dialogo sulla legge elettorale: «Se c’è una maggioranza per cambiare il Porcellum non posso che esserne felice», dice Vendola.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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