Fisco, Tremonti frena la riforma La Lega non ci sta: «Più coraggio»

Fisco, Tremonti frena la riforma La Lega non ci sta: «Più coraggio»

nostro inviato

a Santa Margherita Ligure (Ge)

Doveva essere il giorno del riavvicinamento tra il governo e Confindustria in nome della riforma fiscale, è stato il giorno della crisi fra Giulio Tremonti e la Lega. Il ministro, davanti ai giovani di Confindustria in Liguria e con il sostanziale avallo di Emma Marcegaglia, ha annunciato le grandi linee di una riforma fiscale tanto attesa quanto ancora indefinita predicando «prudenza e precauzione» perché «la crisi non è finita». Poche ore dopo Roberto Maroni, dal Trentino, gli ha cucito la bocca. «La prudenza è giusta, ma in questi momenti credo serva più il coraggio. La forza di mettere mano a una riforma significativa, di sfidare la congiuntura. Il presidente del Consiglio deve dare un segnale forte di cambiamento, una sferzata; se ci sarà saremo al suo fianco per i prossimi due anni».
Sul golfo del Tigullio era stato pianificato un duetto. Il ministro dell’Economia e il presidente degli industriali si sono parlati a lungo in privato per poi spalleggiarsi dal palco, all’insegna della prudenza. «La politica fatta dal governo è stata giusta, ma la crisi non è finita. Tutte le cause sono ancora in essere e l’instabilità può provocare una crisi del sistema democratico. Non vorrei che le rivolte del Maghreb si spostassero anche in Europa», ha detto Tremonti.
La riforma del fisco è allo studio. Innanzitutto i vincoli: «Non possiamo farla in deficit e non tasseremo la prima casa e i risparmi delle famiglie». Significa che l’alleggerimento tributario non comporterà aggravi sulle rendite immobiliari o finanziarie. Si agirà su altri fronti: evasione fiscale, assistenzialismo, Iva. «Continueremo la lotta contro l’enorme serbatoio dell’evasione fiscale: il gettito recuperato finora è stato assorbito dagli interventi sociali, per pagare la cassa integrazione durante la crisi senza toccare sanità, medicine, pensioni. Fatta questa quadratura, con quei proventi si può pensare di ridurre le tasse».
I tecnici di Tremonti sono poi al lavoro sulla pletora di agevolazioni tributarie, «un impressionante catalogo di 470 deroghe che vale 150 miliardi di euro». Secondo il ministro, una parte di detrazioni e deduzioni sono ineliminabili perché legate a logiche europee e ragioni di equità, ma la maggior parte no: «Nel campo della previdenza e dell’assistenza negli ultimi 30-40 anni si sono stratificate prestazioni che hanno come unica ragione la dialettica politica». Concessioni clientelari.
La terza area di intervento sono le aliquote Iva. «Nel 1992 ho inventato con il professor Vitaletti lo slogan: dalle persone alle cose», ha detto Tremonti, il cui intento è ridurre il prelievo Irpef (le tasse sulle persone) recuperando gettito dai consumi. Qui i problemi sono evidenti, riconosciuti dallo stesso ministro: «Abbiamo già aliquote Iva elevate e con una domanda interna bassa c’è il rischio di inflazione. Dobbiamo studiare con attenzione». Tremonti ha anche ipotizzato una riforma del lavoro: «Il nostro sistema produttivo sarebbe più moderno se fosse più aziendale nella contrattazione e, per compensazione sociale, meno arbitrario nell’uso degli strumenti a tempo determinato. Un conto è la flessibilità, un altro l’abuso». In sostanza, il titolare dell’Economia pensa a favorire i contratti aziendali in cambio di minore precarietà nelle assunzioni.
Emma Marcegaglia ha avallato l’impostazione tremontiana: «Dalla fase di studio si passi alla fase concreta e operativa. Serve una riforma fiscale che abbassi le tasse su chi tiene in piedi questo Paese, cioè i lavoratori e le imprese. Sono d’accordo nell’intervenire su detrazioni, Iva, assistenzialismo ed evasione. Ma la lotta all’evasione fiscale non dev’essere oppressione verso chi paga già. Non accettiamo che gli accertamenti diventino esecutivi senza la sentenza di un giudice, non vogliamo pagare noi l’inefficienza di organi statali». Tutta la platea con Emma.


Il leader degli industriali ha accennato anche alle questioni ignorate dal ministro: gli obiettivi di crescita, le manovre finanziarie da varare nel rispetto delle indicazioni europee, il costo della politica, le liberalizzazioni per limitare la presenza del settore pubblico nell’economia. «Per esempio – ha detto il numero uno di Confindustria – bisognerebbe finalmente privatizzare le oltre 7000 aziende di servizi pubblici locali gestite in perdita dai Comuni».

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