Il «Flauto» riscatta il Carlo Felice

Barbara Catellani

E il «Flauto» la magia l'ha fatta lo stesso, tutti contenti ieri pomeriggio nella platea del Carlo Felice, un po' meno i tempestivi acquirenti della «Prima» di giovedì sera, a casa con il danno e la beffa. Del resto, l'arte in sciopero non ci va e il tocco magico Mozart l'ha messo anche questa volta - nel «debutto alla seconda» - stregando il pubblico di grandi e piccini, entusiasta in un teatro gremito come (quasi) mai lo si è visto. Mago Amadeus, mago Luzzati, e qui non c'è nulla da dire: chi non darebbe almeno un cantuccio del proprio regno per salire un istante su quella regale carrozza o per volare sulla misteriosa creatura dalle piume multicolore che accompagna Tamino nel suo viaggio verso la saggezza? Applausi per lui, scroscianti è dir poco: voilà, l'incanto è fatto. Ha reso irreali persino loro, i cantanti, protagonisti in carne ed ossa, trasformati dai pittoreschi costumi di Santuzza Calì in piccole sagome del magistrale decoupage luzzatiano, con tutte le malie e le suggestioni che ne vengono. E vediamoli, questi protagonisti, un po' cantanti, un po' attori, come il codice del tedesco «Singspiele» impone.
Tutti, o quasi, debuttanti - e qui si parla principalmente di ruolo - giovani promesse di un secondo cast (con qualche mescolanza dell'ultima ora) «mascherato» da primo: un pizzico di emozione in più? E concediamola. Un momento di trepidazione per la Rodriguez (Regina della Notte), bella voce, diremo forse all'inizio un po' poco drammatica, ma con una buona agilità, specialmente nella celeberrima aria del secondo atto; e se bisogna dirlo - ed è questo che si aspetta con ansia malcelata - quel temutissimo Fa sovracuto c'è stato, e nitido, pure.
Brividi da palcoscenico per Sarastro (Ghazaryan): voce calda, sì, timbro morbido ma quasi in sordina, un po' carente nelle note basse che caratterizzano in verità personaggio e ruolo vocale. Bella prova per Papageno (Priante) voce piena e ottima presenza scenica, che con efficacia ha disegnato il buffo uccellatore innamorato; e così dicasi di Monostatos (Bosi), che ha interpretato il suo personaggio con la giusta dose di «piccante» e grottesco che lo distingue; bene infine le tre dame.
Ma veniamo ai giovani (nel libretto e nella realtà): voce molto delicata lei (Pamina/ Rial), che ha cantato con dolcezza ed espressività - nonostante qualche piccola imperfezione - restituendo la soavità del personaggio. Tamino (Szeili), anche lui espressivo e musicale, una voce che ha convinto per morbidezza e flessibilità. Ultima arrivata, Papagena (Farcas), ottima vispa interpretazione, voce agile e scorrevole nel brioso duetto con il compagno.
E bravi anche coro e i tre genietti.

Nel complesso un bell'affiatamento tra i protagonisti e una divertente e arguta interpretazione della fiaba mozartiana, con una regia frizzante, che ha affiancato cantanti, mimi e danzatori in un coloratissimo guazzabuglio di serpentoni gabbati, pennuti estinti ed elefanti di cartapesta; il tutto avvolto dalle note dello spartito, che il Maestro Frizza ha esaltato nella sua componente più dinamica, nella sua inesauribile e trascinante vitalità.

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