Fmi: il costo della recessione scende adesso a 3.400 miliardi

«Azioni senza precedenti» accoppiate ai segnali di ripresa economica hanno contribuito alla stabilizzazione finanziaria, rendendo meno insostenibile il peso delle perdite provocate dalla crisi globale. È da qualche tempo che il Fondo monetario internazionale si affretta a rimettere mano alle proprie stime, migliorandole. Capita così di veder sottrarre dagli esperti di Washington 600 miliardi di dollari dal bilancio deficitario della recessione. I 4mila miliardi previsti lo scorso aprile come prezzo da pagare alla crisi, si sono infatti ora ridotti a quota 3.600 miliardi come indicato nel Global Financial Stability Report di ottobre, presentato ieri a Istanbul.
A conferma di un orizzonte congiunturale più sereno, il Fondo ribadisce che il peggio è ormai alle spalle e si appresta a rivedere al rialzo la previsione di crescita dell’economia mondiale per il 2010 portandola al 3,1% contro il 2,5% precedente. Un ritocco verso l’alto di cui beneficerà anche l’Italia. Nei giorni scorsi, Arrigo Sadun, direttore esecutivo dell’organizzazione guidata da Dominique Strauss-Kahn, aveva annunciato che il nuovo outlook relativo al nostro Paese sarebbe stato in linea con le stime governative del Dpef (-4,8% il Pil quest’anno, +0,7% il prossimo).
Per il Fmi non è comunque ancora il momento di abbassare la guardia. Anzi, proprio il migliorato clima e il superamento del ciclo recessivo rischiano di provocare «un autocompiacimento» per il pericolo scampato che potrebbe dar luogo «a nuove ricadute».
Molto rimane del resto da fare. I governi, per cominciare, non devono differire o annacquare le necessarie riforme; quanto al ritiro delle misure di sostegno straordinarie, il Fondo resta dell’idea che un’exit strategy sia ancora prematura, anche se va predisposta. Le autorità devono inoltre pianificare un quadro di regole che mitighi l’accumulazione dei rischi sistemici, consolidi le aspettative e assicuri la fiducia contribuendo a una crescita economica sostenuta.
Il capitolo più corposo è però riservato alle banche. Il recupero delle Borse, con il conseguente aumento di valore dei titoli in portafoglio, e l’adozione di nuovi sistemi contabili hanno contribuito a ridurre le perdite, comunque ancora elevate e stimabili in 2.800 miliardi di dollari, di cui solo 1.300 venuti in superfice.

L’emersione dei «buchi» è un problema meno grave per gli istituti Usa grazie alla contabilizzazione del 60% delle perdite, mentre le banche europee dovranno fare i conti con i maggiori crediti inesigibili di imprese e famiglie.

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