Economia

Fmi: «Italia, più attenzione al deficit»

da Milano

Più benevole le prospettive di crescita economica, ma più critica la situazione sul versante della finanza pubblica. Il focus del Fondo monetario internazionale torna sull’Italia, nell’Outlook che verrà divulgato ufficialmente domani durante i lavori dell’assemblea, quando gli esperti di Washington faranno il punto della situazione congiunturale globale anche alla luce del forte rialzo delle quotazioni petrolifere e dei danni provocati dall’uragano Katrina. L’inattesa espansione dello 0,7% registrata dal Pil italiano nel secondo trimestre ha convinto il Fmi a togliere l’Italia dalla zona recessione in cui era stata confinata dalla precedente stima per il 2005 (meno 0,3%), ora riposizionata su una crescita zero, mentre le previsioni per l’anno prossimo sono rimaste invariate a un più 1,5%. La migliorata situazione economica non sembra tuttavia destinata a incidere sul processo di risanamento dei conti pubblici. Il Fondo appare al contrario preoccupato per il deterioramento del rapporto deficit-Pil, stimato al 4,3% nell’anno in corso e al 5% nel 2006. Valori lontani dal tetto previsto dal Patto di stabilità, non suscettibili di correzioni «significative» prima dell’inizio del 2007. Ma anche l’atteso miglioramento si basa «su misure che devono essere identificare con precisione». L’Italia non è tuttavia un caso isolato in Europa. Ben altri quattro sono infatti i Paesi (Germania, Francia, Portogallo e Grecia) che non rispettano il criterio del 3%, anche se il nostro Paese ha l’aggravante del peggioramento del rapporto tra debito e Pil, che tornerà a crescere per la prima volta dagli anni ’90 posizionandosi al 105,5% quest’anno e al 106,9% nel 2006. L’azione di risanamento, suggerisce il Fmi, deve passare attraverso provvedimento in grado di stimolare l’economia, ricetta valida per tutti i Paesi che soffrono di una carenza di domanda interna.

Occorre quindi puntare su «una maggiore flessibilità della contrattazione aziendale» e sulla «riduzione del cuneo fiscale» che ancora grava sul mercato del lavoro.

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