da Roma
La riforma dei diritti di voto allinterno del Fondo monetario internazionale è stata approvata a larghissima maggioranza dal board dei governatori dellorganizzazione, e dovrà essere ratificata dallassemblea durante gli incontri primaverili dell11 e 12 ottobre, a Washington.
In base allaccordo raggiunto al board, i Paesi industrializzati cederanno l1,6% dei diritti di voto alle economie emergenti. Lesiguità del trasferimento fa dire ai Paesi in via di sviluppo che si tratta solo di un «primo passo marginale» sulla strada della riforma dellorganizzazione di Bretton Woods. Tuttavia ci sono voluti anni, e intensi negoziati, per arrivare a questa prima soluzione di compromesso. I Paesi industriali, nel loro complesso, passano dallattuale quota del 59,5% dei diritti di voto al 57,9%; i Paesi in sviluppo ed emergenti vedono aumentare la loro quota complessiva dal 40,5 al 42,1%.
A rinunciare alle loro fettine di quota saranno, soprattutto, i Paesi europei. Gli Stati Uniti, che nella trattativa avevano poco o nulla da perdere, hanno votato a favore pur esprimendo alcune riserve su un compromesso «non ambizioso come avremmo voluto». Anche i rappresentanti delle economie emergenti mugugnano, sostenendo che il passo è troppo piccolo e non corrisponde al mutamento delle condizioni economiche nelle varie aree del mondo. In ogni caso, si tratta di un successo diplomatico per il neo managing director del Fondo, il francese Dominique Strauss-Kahn.
Nel corso degli incontri di aprile, al Fmi si parlerà non solo di riforma, ma soprattutto di crisi finanziaria internazionale.
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