di Vittorio Sgarbi
Tra i primi e i più fedeli a tradurre in immagini le favole dell'Orlando furioso vi è certamente Girolamo da Carpi che, ancor vivo l'Ariosto, tra il 1530 e il 1533 dipinge un Ruggiero libera Angelica (ora al museo di El Paso) che sembra concordato con il poeta nella creazione di un ippogrifo con le ali rosse, minaccioso per il mostro marino cui sta per strappare Angelica, perigliosamente incatenata a uno spuntone di roccia sul mare tempestoso in una luce spettrale. Il pittore e il poeta certamente si conobbero assai bene e si parlarono. Ma la fantasiosa e fedele immagine non supera la forza evocativa delle parole, come ricorda Pietro Aretino: «Ei ti dipinge una cosa sì bene/ che ti pare d'averla avanti gli occhi.../ Se quest'uomo divino e benedetto/ d'Angelica parla e di Medoro/ mi par vederli insieme stretti in letto». Nel volume I voli dell'Ariosto, a margine della bella mostra su «L'Orlando furioso e le arti» in Villa D'Este a Tivoli, a cura di Marina Cogotti, Vincenzo Farinella e (...)
(...) Monica Preti, si fa riferimento proprio al Dialogo della pittura intitolato l'Aretino di Ludovico Dolce (1557), dove si dice: «Ma se vogliono i pittori senza fatica trovare un perfetto esempio di bella donna, leggano quelle stanze dell'Ariosto, nelle quali egli descrive mirabilmente le bellezze della fata Alcina; e vedranno parimente quanto i buoni poeti siano ancora essi pittori».
Vale forse, nel prevalere della tradizione lirica italiana, per due soli poeti questa osservazione del Dolce: per Dante e per Ariosto. Il primo in una declinazione realistica e storica, il secondo in una declinazione onirica e visionaria. Si spiega così l'immaginario di pittori, come Dosso Dossi, che si ispirano al mondo magico del Furioso, all'isola di Alcina, senza illustrarne un episodio particolare: lo vediamo nella Circe o Melissa della Galleria Borghese. Ma quegli incanti, quelle magie sono altrove minuziosamente descritti, come Ruggero sull'isola di Alcina, dove si innamora della maga, dimentica la promessa sposa Bradamante e il proprio ruolo nell'esercito pagano, nel dipinto di Rutilio Manetti, «figurato di notte», conservato a Palazzo Pitti, fascinosissimo nei dialoghi in penombra delle copie che si intendono e si carezzano. Nella singolare composizione del quadro su una diagonale, Ruggero, pur in primo piano, non è protagonista, in favore di una morbosa coralità dove ogni coppia ammicca e allude, sotto luci strisciate, con una traduzione degli effetti caravaggeschi in una complice intimità, quasi una situazione da discoteca. Siamo nel 1624, a circa cento anni dal Furioso: «Tolte che fur le mense e le vivande,/ facean, sedendo in cerchio, un giuoco lieto:/ che ne l'orecchio l'un l'altro domande,/ come più piace lor, qualche secreto;/ il che agli amanti fu commodo grande/ di scoprir l'amor lor senza divieto:/ e furon lor conclusioni estreme/ di ritrovarsi quella notte insieme».
Un repertorio pressoché completo delle illustrazioni dal poema dell'Ariosto, in un percorso di ininterrotta fortuna nei secoli, è l'impegnativo volume L'Orlando furioso nello specchio delle immagini, edito dall'Istituto della Enciclopedia Italiana, sotto la direzione di Lina Bolzoni. Dopo una sezione relativa alle tavole nel testo nelle principali edizioni a stampa, dalle xilografie dello Zoppino (1530) alle incisioni calcografiche, da disegni di Pietro Antonio Novelli, di Fragonard, di Bartolomeo Pinelli fino a Gustave Doré, la ricerca indaga cicli di affreschi e dipinti e stampe fino ai nostri giorni. Ludovico non vedrà nessuna delle edizioni illustrate del suo poema e, tra i pittori, ricorderà soltanto gli affini, per spirito e fantasia, «duo Dossi», il primo dei quali, nato nel 1474, è esattamente suo coetaneo.
Il primo notevole ciclo è quello di Nicolò dell'Abate per il palazzo bolognese del cardinale Bartolomeo Torfanini, affreschi staccati e ora esposti alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, luminosi, versatili e teatrali, come ispirati dal poeta, nella minuzia dei particolari e nei paesaggi ferraresi. Si continua, nel Cinquecento, in palazzo Te a Mantova con le oniriche storie di Alcina della cerchia di Antonio Maria Viani. Il Seicento avrà una intensa produzione di pittori toscani, al centro della disputa sul primato dell'Orlando furioso o della Gerusalemme liberata, con la vittoria del primo: ecco allora, oltre al Manetti, le belle prove di Lorenzo Lippi, di Giovanni Bilivert, di Matteo Roselli, di Orazio Fidani, di Jacopo Vignali. In Emilia si applicano ad Ariosto Guido Reni, Alessandro Tiarini, Giovanni Lanfranco e Marcantonio Franceschini. Singolarmente si astiene il tassesco Guercino. Ma è il Settecento, con i meravigliosi cicli di Giambattista Tiepolo a Villa Valmarana ai Nani a Vicenza, e di Giuseppe Cades a Palazzo Chigi di Ariccia (indimenticabile l'Incontro tra Dalinda e Polinesso) a raccontare meravigliosamente Ariosto in vere e proprie scenografie per un teatro che metterà in scena l'Orlando, più macchinoso e greve, soltanto con Luca Ronconi. L'Ottocento ha un vertice inarrivabile ed araldico nel Ruggero libera Angelica di Jean-Auguste-Dominique Ingres, e una soporifera interpretazione nazarena (Veit, Schnorr, Carolsfeld) nel Casino Massimo Lancellotti; e, tra gli italiani, le interpretazioni pretestuose come variazioni del paesaggio romantico, di Giuseppe Bezzuoli, Massimo d'Azeglio, Giuseppe Bisi. Notevoli le escursioni simboliste di Böklin, e quelle novecentesche di De Chirico, Alberto Savinio e Achille Funi, a casa, nella sala dell'Arengo di Palazzo Municipale a Ferrara.
Tornati a Ferrara, una notevole e preziosa testimonianza inedita è nella casa di Brunoro Ariosti, in via Gioco del Pallone, dove il poeta visse e scrisse le commedie (provandole ivi, in un teatrino domestico), e le prime due edizioni (1516 e 1521) del Furioso, ora sede delle Fondazioni Cavallini-Sgarbi. Lì mia sorella, nei lavori per le «Case», ha scoperto un notevole fregio con un cavaliere alato che sembra rimandare alla iconografia dell'ippogrifo. In un altro ambiente si legge, in una targa, la massima oraziana (e ariostesca): «Quid.sit.futurum.cras.fuge.quaerere». La scoperta è significativa perché lo stile rimanda a Dosso Dossi, non oltre il 1515-20, o alle decorazioni classiche e capricciose di Ludovico Mazzolino (nato e vissuto in via Carmelino, a fianco della chiesa di San Gregorio Magno, a cento metri dalle case della famiglia Ariosti), e il committente non può essere che Ludovico Ariosto stesso, che ordinò lavori alla casa tardo-medievale nel 1508, con l'avanzamento del prospetto e il portale monumentale.
Sarebbe quindi la prima, e la più antica, testimonianza in assoluto della traduzione in immagini delle fantasie letterarie dell'Ariosto, pressoché coeva alla prima edizione dell'Orlando Furioso, che ora si celebra con mostre e pubblicazioni.Vittorio Sgarbi
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