Il «foresto» che fa più dei genovesi

Il «foresto» che fa più dei genovesi

Carissimo Massimiliano. Una gloriosa società, un mitico campo di calcio rimasto nei cuori di tutti i tifosi genoani «il vecchio Luigi Ferraris», un nuovo stadio, l’attuale che con il tempo ha conquistato simpatie, una miriade di presidenti che passano e salutano ma non incidono, sogni emozioni adrenalina ed entusiasmo che solo il prato verde e gli spalti ti possono regalare. Una maglia e un grifone ci legano, il rituale domenicale nel «tempio» del calcio, permette la fusione tra il popolo rossoblu e quel «vecchio balordo» che è e rimane il Genoa. La politica del sorriso ha pagato, la maccaia sembra aver abbandonato la sponda rossoblu.
Anni bui, dove l'orgoglio dell'appartenenza al club più antico d'Italia era prioritario sui sogni e sulle speranze, sempre e in ogni modo vanificate (sportivamente parlando) da tutti i presidenti che si sono succeduti alla guida di quest’istituzione. Ma il popolo si sa, è duro a morire e con nuovo entusiasmo è sempre pronto a dimostrare d’essere presente quando il grifone chiama. Fiducia a tutti, fino a prova contraria. È dovuto arrivare un «foresto» a salvare il Genoa, un vulcano d'uomo a scuotere le fondamenta della società. L'ardore e il fuoco hanno bruciato tutto, ma dalle ceneri «come la fenice» l'indomito presidente ha fatto nuovamente spiccare il volo all'immortale grifone. Siamo nuovamente nell'olimpo del calcio, quello vero. La scalata è avvenuta dal basso, i gradini erano alti e pieni di trabocchetti.
Ma siamo arrivati e siamo destinati e ostinati a riprenderci il tempo perduto ingiustamente. Tempo perduto con Fossati che ci faceva vivacchiare più in B che in A, mitica la cessione di Pruzzo alla Roma con contropartita di un certo Musiello, mitiche le giornate allo stadio con Arcoleo Girardi Secondini ecc. ecc. in quell’immensa gradinata Nord, che arrivava al bordo del campo. Di Spinelli sappiamo tutto, eterno secondo dietro quel grandissimo presidente che è stato Paolo Mantovani. Le sue apparizioni in TV sono passate alla storia e fortuna che a quei tempi non esisteva la giallapas-band. La sua rovina: aver venduto la società ad un certo Enrico Scerni. Perché si può essere grandi presidenti anche non avendo vinto nulla, «vedi Pellegrini dell'Inter», ma uscendo di scena essendo sicuri di vendere la società solo a chi può far meglio di te, almeno economicamente parlando. Altro genovese e i guai continuano, Enrico Scerni promette e non mantiene. Mauro la sua rovina, «l'innominabile» la sua ombra. I tifosi toccano ferro ma non serve a nulla, la sfortuna ci perseguita.
Devastante il mandato, devastante la scelta del suo successore. Nube che corre, cavallo pazzo, penna bianca all'onore il Signor. Della Costa, un nuovo profumo travolge Genova, ma l'odore è acro. Stato fallimentare e libri in tribunale. Genova guarda, il suo calcio rischia di scomparire, anche la Samp è sull'orlo della bancarotta. Girano mitologie strane e strani racconti su quei giorni tormentati. Chi racconta sicuro di quello che dice, che il progetto occulto fosse quello di avere a Genova una sola società di calcio, chi racconta che Preziosi ha comprato il Genoa poiché non gli avevano voluto vendere la Sampdoria, che Garrone è stato obbligato da non si sa bene chi a salvare la Samp. Ma stiamo ai fatti. L'unico che è andato in tribunale è stato quel «foresto» di Preziosi. Di genovesi e genoani nemmeno l'ombra.
Chissà, chi vivrà vedrà.

Ha fatto per ora solo ciò che altri non hanno voluto fare, e per questo non finiremo mai di ringraziarlo, ma, il bello deve ancora venire. Saremo primi anche in questa classifica, un «foresto» che incide dove i genovesi avevano fallito.
Grazie Enrico Preziosi.

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