da Roma
Come convincere la «vecchia Europa» a cedere quote, e quindi potere, ai Paesi emergenti allinterno del Fondo monetario internazionale? È questa la sfida per lex ministro delle Finanze francese Dominique Strauss-Kahn, che ieri ha sostituito ufficialmente Rodrigo de Rato al timone della venerabile (e anche un po vecchia) organizzazione internazionale. Insieme con il neopresidente dellInternational monetary and financial committee, Tommaso Padoa-Schioppa (e qualcuno già ironizza sul fatto che per la prima volta comandino al Fondo due personaggi comunemente indicati con un acronimo, Dsk e Tps), Strauss-Kahn deve adeguare ai tempi unistituzione che ancora funziona secondo regole dettate nellimmediato dopoguerra. «Il mandato del Fondo non è cambiato in un mondo che, invece, si è completamente trasformato: dunque, dobbiamo adattarci», ha spiegato Dsk al momento del passaggio di consegne con il managing director uscente.
La richiesta dei Paesi emergenti - Cina, India, Corea, Messico e Turchia in testa - è di spostare verso di loro il 10% delle quote detenute dagli europei. Un livello ritenuto inaccettabile, specie da Gran Bretagna e Francia. Il negoziato, al momento, è fermo su uno spostamento del 2,5%, con lobiettivo - ritenuto molto difficile - di arrivare al 5%. La proposta dovrebbe essere definita in aprile, ed approvata nellassemblea dellottobre 2008.
Padoa-Schioppa, che dal mese scorso guida lImfc (lorganismo «politico» del Fondo), sa che non sarà semplice convincere i Paesi europei a rinunciare a una «fetta» di potere a favore degli emergenti. Intanto, propone una presidenza a tempo - tre anni - ed a rotazione fra Paesi ricchi ed emergenti dellInternational monetary and financial committee. Poi constata che cè unintesa di massima sulla «missione» del Fmi, almeno nel senso che listituzione non dovrà concentrarsi sulla lotta alla povertà, sovrapponendosi alla Banca mondiale.
La mission principale del Fmi rimane, perciò, quella di assicurare, per quanto possibile, la stabilità finanziaria internazionale. Ma, come si è visto nel caso dei mutui subprime in Usa, sono spesso i Paesi ricchi, e non quelli emergenti, a snobbare le analisi e i suggerimenti del Fondo. Più volte, gli economisti del Fmi avevano infatti avvertito sul potenziale esplosivo del mercato statunitense dei subprime, ma il mercato non ha ascoltato.
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