Franco Bovio, il senso dell’amicizia e gli affetti di una vita

Ha fatto come sempre l’en plein, Franco Bovio con la presentazione del suo libro «Impegno» all’Auditorium della Carige: nonostante freddo e ora serale la gente è stata anche in piedi. È il settimo o ottavo dono di pensieri, in versi e prose, che Bovio offre agli amici genovesi e l’amicizia resta il senso più profondo della sua opera.
Come prima chiave di lettura Ennio La Monica, direttore generale di Banca Carige, ha individuato «il tempo»: il passato con ricordi privati e memoria civile, il presente come nuovo orizzonte di speranza, il futuro con il rinnovato impegno ad educare e lo si fa con l’esempio. «Si può educare al lavoro» ha sottolineato La Monica, che da studente di ragioneria conobbe Bovio quando teneva i primi corsi di economia aziendale e insisteva sul marketing, parola poco nota. Lo rincontrò nell’81, assunto in Carige quando Bovio ne era vicedirettore. «Ai giovani si deve insegnare a lavorare insieme - ha precisato - con il rispetto del prossimo (versione laica dell’amore evangelico), insegnare una visione di lungo respiro e anche umiltà con sacrificio». Sono poi intervenuti Giovanni Giaccone, giornalista di Primocanale ed Elena Nieddu (del Secolo XIX) che ha firmato la prefazione. Fulcri del libro gli affetti: la moglie, cui dedica la poesia «La guida», lei che ancora gli sorride da una foto, lei troppo presto sottratta alla «nostra vita... di cui eri - e sei rimasta - guida saggia e amorevole»; la «Famiglia», una forza per l’autore cementata dal ritrovarsi il sabato sera.
La poesia civile è per i «150 Anni» dell’Unità con il ricordo dell’esaltante studio del Risorgimento, e pure con l’amara constatazione di un oggi d’indifferenza verso questa storia, grande pur negli «errori, forse inevitabilmente, commessi». Bovio, che non è ebreo, non dimentica mai «Israele»: ha fondato l’Apai (Associazione per l’amicizia italo-israeliana) per far conoscere questo popolo, angheriato nella storia, nel suo attuale ordinamento di Stato, nelle immigrazioni dal mondo, nella letteratura («Terra del latte e del miele»), nelle eccellenze di ricerca e tecnica. Di fronte alle frange persistenti di negazionismo dell’Olocausto, tira fuori un asso nella manica e nel «Giorno dei Defunti» rivolge un «emozionato saluto/ anche per chi scomparve, dissolto/ solo perché ebreo/ spesso senza nome/ anche se bambino».
Dedica la prosa «Lelia» a Lelia Finzi Luzzati, cugina maggiore di Giorgio Bassani, «erede del più raffinato e storico ebraismo ferrarese, una delle prime laureate in Italia». La ricorda nel dolore, a 80 anni, per la morte prematura di un figlio, emigrato in Israele. Mi vengono in mente le lacrime che le sfuggirono quando, a pochi giorni dal lutto, tenne l’annuale conferenza all’Adei (l’Associazione donne ebree-italiane di cui fu l’anima). La prima, la dedicò a Lugano a Gianna Manzini, scrittrice dell’orgoglioso «Ritratto in piedi» per il padre anarchico, e proprio questa conferenza (di cui mi diede copia autografa) ci aveva unito d’affetto. Tra i suoi ricordi di donne - momenti alti in cui però Lelia introduceva qualcosa della sua vita (per entrare in sintonia con il pubblico come m’insegnò) - indimenticabili le sue parole per Rita Levi Montalcini, Liana Millu, Jenny Bassani Liscia (La Storia passa dalla cucina).
Alla morte del figlio, Bovio seppe sostenerla spiritualmente tanto che Lelia lo chiamò «il suo psicologo guaritore».

In questo libro, con l’incanto delle piccole cose che rendono più umana («Dimensione umana» s’intitola la prima poesia), più degna la nostra quotidianità, l’autore introduce altri due affetti: in «Porto Antico» lo «speciale angolo di mondo dove abbiamo la fortuna di vivere», e «Carige, eccellenza genovese», banca che «non ha clienti ma amici». A me rimane, primo ricordo di Bovio, l’invito in Sinagoga per una giornata della memoria: aveva in braccio un batuffolo rosa, la nipotina, ora di vent’anni.

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