Fregene, quel rebus dell’omicidio Moretti

Fregene, quel rebus dell’omicidio Moretti

Sicurezza e criminalità sul litorale. Una questione scottante alla luce degli ultimi eventi. Agguati in pieno giorno, rapine, furti, traffico di droga in quantità industriale, negozianti taglieggiati. Ma non c’è solo questo a preoccupare gli inquirenti romani. L’incubo di un serial killer che si aggira indisturbato fra i villini isolati della «Roma bene» è sempre in agguato. Questa è una storia accaduta nella cittadina balneare dei vip, un fatto «di nera» rimasto insoluto a distanza di 4 anni. Lo scenario? Una villa nel centro di Fregene e un cadavere immerso in una pozza di sangue. È un giallo l’omicidio di Alessandro Moretti, 63 anni, massacrato in casa nella torrida estate 2003. Nonostante le ultime perizie del Ris l’indiziato numero uno, un conoscente della vittima, è libero. «Non luogo a procedere» si legge sul fascicolo: in assenza di prove che possano inchiodarlo viene confermato l’alibi per l’unico, possibile, omicida.
Insomma il delitto di Fregene come quello dell’Olgiata? Ma chi era Moretti, conosciuto come il «cinese»? Cosa nascondeva e perché è stato ammazzato? La pista seguita porta all’ambiente gay, in particolare a un «ragazzo di vita» conosciuto fra gli omosessuali e trans della capitale. Un personaggio ambiguo come Armando Lovaglio, condannato per aver ucciso assieme alla fidanzata Domenico Semeraro, il «nano di Termini», l’«imbalsamatore» dell’Esquilino. Ebbene, come fra il giovane Armando e Mimmo, movente del delitto è il denaro. Secondo le indagini alla base dell’incontro finito in tragedia una questione in sospeso. Soldi che «il cinese» non voleva sborsare. In pochi istanti l’amico si trasforma in folle omicida. Notte maledetta quella tra l’11 e il 12 luglio del 2003. Alle 20,30 il figlio Alessandro jr lascia il padre nel villino di via Castellammare per andare a Ostia. Verso la mezzanotte qualcuno arriva al civico 196. Suona alla porta, Moretti apre. Quello che accade poi si può solo intuire dalla scena che si presenta prima al figlio (rincasato alle tre del mattino), poi ai militari accorsi sul posto dopo una telefonata al 112. Moretti è a terra con il cranio fracassato. L’uomo è vestito e in casa non manca nulla. Sul tavolo i resti della cena consumata da solo, attorno i segni di una violenta colluttazione: due sedie rovesciate, oggetti scaraventati sul pavimento, confusione generale. L’arma del delitto è scomparsa, forse gettata in un cassonetto e finita in discarica prima che i militari potessero recuperarla. Secondo il medico legale un oggetto pesante come un soprammobile o un attizzatoio. Movente? Esclusa la rapina: nel portafogli 700 euro, in cassaforte gioielli e oggetti di valore.
«Una furia assassina - commenterà il tenente colonnello Massimo Ilariucci, all’epoca comandante del reparto Territoriale Ostia -. È stato ucciso con almeno 5 colpi alla testa sferrati impugnando una statuetta o un posacenere». Accanto al corpo frammenti di ceramica e vetro. Il mistero ruota attorno a un personaggio scomodo: precedenti per lesioni, oltraggio, resistenza a pubblico ufficiale, induzione e sfruttamento della prostituzione, Moretti viene inserito nella lista dei delitti a sfondo omosex della capitale. Si scava nel suo passato. Nel ’95, dopo la morte per infarto del socio con il quale gestisce il ristorante «Benito 2», all’ingresso sud della città, Moretti rileva il «Mucca allegra» a Maccarese.

Gli affari non vanno bene, quindi decide di ritirarsi a vita privata. I suoi segreti restano nei computer sequestrati: tracce di incontri «in rete», liste di nomi e bilanci di un paio di appartamenti nella zona della stazione Termini, già chiusi dalla polizia. Un rebus.

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